Un Nietzscheanesimo senza riserve. L'opera di Nicola Massimo De Feo tra Marx e Heidegger

Roberto Nigro, 30/05/2020

Materiale datato: 01/01/2006

Il presente testo era, originariamente, l'intervento di Roberto Nigro al convegno Ragione e rivolta: Sul pensiero di Nicola Massimo de Feo, organizzato e tenutosi presso l'Università degli Studi di Bari nel 2005. È presente, inoltre, nella raccolta degli interventi, La solitudine non è una festa. Il pensiero militante di Nicola Massimo de Feo (2006), curato da O. Marzocca per Mimesis.

Raffigurazione dell'eterno ritorno
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R. Nigro, Un Nietzscheanesimo senza riserve. L'opera di Nicola Massimo De Feo tra Marx e Heidegger, in O. Marzocca (a cura di), La solitudine non è una festa. Il pensiero militante di Nicola Massimo de Feo, Mimesis, Milano 2006, pp. 71-86.

"So cosa vi era di così temibile nel prendere la parola, poiché la prendevo in questo luogo dove l'ho ascoltata e in cui non vi è più lui per ascoltarmi".
Michel Foucault

Come nelle Vite immaginarie di Marcel Schwob[1]: qualche tratto è sufficiente per definire l'unicità e individualità di un tipo umano. Tuttavia, qui, non si tratta di biografie intellettuali isolate, ma di pezzi di storia concatenati l'uno all'altro. Non è neppure sicuro che ciascun nome sia lì ad indicare un autore ben preciso, poiché quello che lo interessa maggiormente è, come direbbe Heidegger, la cosa del loro pensiero. Ogni nome rappresenta, nella sua consistenza storico-ontologica, un ambito dell'esperienza umana, il presentificarsi di ciò che c'è nella storia come movimento dell'essere stesso. Così De Feo, in poche righe ripetute in uno stile folgorante, ci parla della disperazione di Kierkegaard e della sua malattia mortale, del sottosuolo di Dostoïevski e della sua epilessia, dell'essere per la morte di Heidegger e della sua angoscia, dell'eterno ritorno di Nietzsche e dell'innocenza del suo divenire, della violenza come maieutica della storia di Marx e del suo sfruttamento, dell'immoralismo erotico di Otto Gross e della sua lotta per la liberazione sessuale, della malattia e nevrosi di Freud e della sua rivoluzione del profondo, dei folli di Foucault e della sua microfisica del potere, della schizofrenia di Deleuze e Guattari e della loro rivolta molecolare antiedipica... E non è tutto: il suo universo è popolato di decine di figure tragiche (che egli non smette di inseguire), le quali hanno trasformato la loro esistenza in altrettanti punti di resistenza e di rivolta, individuale e collettiva, contro il potere.

Ma è come se l'autore ci dicesse che la storia della soggettività rivoluzionaria da sola non basta. All'eroismo etico dell'azione rivoluzionaria, che il più delle volte sfugge al controllo dei suoi protagonisti, si oppone il gesto del potere che muove con la sua logica implacabile. E De Feo consacra gran parte della sua ricerca all'analisi di questa logica. Qualcuno potrebbe pensare che i suoi scritti siano attraversati da un'atmosfera cupa e pessimista; in realtà non si tratta né di pessimismo né d'ottimismo, semmai della consapevolezza tragica di chi percepisce che lo sfruttamento è la condizione della liberazione, la forma concreta, cioè antagonista, perché maieutica di violenza e di lotta, della riappropriazione della vita, della sua liberazione[2].

Marcel Schwob sostiene che l'arte del biografo consiste nello scegliere tra i tanti tratti umani quello che è unico[3]. Leibniz dice che per fare il mondo, Dio ha scelto il migliore tra i tanti possibili. Ci sarebbe da chiedersi perché De Feo ha scelto, tra i tanti possibili, questi tratti umani e in che maniera li ha legati tra loro.

De Feo non ha smesso di interrogarsi e di condurre la sua ricerca a partire da un momento preciso della nostra storia e da un'angolatura altrettanto precisa: egli risale il corso degli eventi storici a partire dalla seconda metà del XIX° secolo e si sofferma, in gran parte, sebbene non soltanto, sul dibattito teorico che attraversa la Germania dalla fine del secolo XIX° sino ad oggi. Se, come avrebbe potuto dire Foucault, De Feo fa parte di quegli autori critici, per i quali la ricerca filosofica consiste nel tentativo di definire il campo attuale delle esperienze possibili, consiste cioè ad interrogarsi su ciò che possiamo chiamare l'ontologia del presente o l'ontologia dell'attualità, la sua maniera di rispondere alla domanda sulla genealogia storica della nostra soggettività, consiste nel lavoro di scavo storico condotto intorno ad un'epoca, dalla quale – gli sembra – dipende più direttamente la nostra attuale esistenza. Gli eventi, che si sono susseguiti dal XIX° secolo in poi, e la traiettoria critica, che il pensiero ha assunto da quel punto in poi, sembrano definire meglio di qualunque altro riferimento storico il modo in cui ci siamo lasciati prendere nella trappola della nostra identità storica[4].

Partendo dagli eventi della Comune di Parigi e dall'istituzione bismarckiana del primo Reich, come risposta del capitale all'insurrezione operaia, tentativo di ricomposizione politica dello sviluppo delle forze produttive contro l'instaurazione di una società in cui l'autogoverno dei produttori è l'obiettivo principale della liberazione della classe operaia ad opera della classe operaia stessa[5], l'opera di De Feo assume, come suo punto di partenza, la marxiana analisi della sussunzione reale, come unità violenta di miseria assoluta e possibilità generale della ricchezza. Parafrasando Marx, De Feo scrive:

"L'attualità della critica marxiana deriva dal fatto che essa parte dal punto più alto dello sviluppo, che è la crisi del capitalismo mondiale, nella maturità del comunismo, quando cioè, 'con lo sviluppo della grande industria, la base su cui esso poggia – ossia l'appropriazione di tempo di lavoro altrui – cessa di costituire o di creare ricchezza', e lo sviluppo sociale delle forze produttive, lo sviluppo del lavoro sociale e dell''uomo sociale', si oppongono sempre più direttamente al predominio, o sussistenza, della legge del valore, cioè dell'assunzione del 'tempo di lavoro come unica misura e fonte della ricchezza"[6].


Nei Grundrisse Marx esprime la lotta universale tra espropriazione capitalista del valore e riappropriazione comunista della produttività sociale dell'individuo sociale, tra immiserimento della massa e potenzialità tecnologica. In questa maniera Marx, agli occhi di De Feo, apre la strada per una comprensione adeguata dell'emergenza del negativo, poiché delinea:

"la sovversione materialistica, legata al movimento della cosa stessa, del corpo operaio reificato, la forza lavoro che è nello stesso tempo mezzo di produzione, corpo mutilato da e nel lavoro astratto, e individuo sociale, miseria assoluta e possibilità generale della ricchezza"[7].

Il negativo della condizione operaia, il suo essere ridotta a pura forza-lavoro, cioè a miseria assoluta, non può essere recuperato in alcun modo se non attraverso la negazione della sua negazione, che diviene possibilità di appropriazione del suo essere sociale come attività e sorgente viva del valore.

Certamente De Feo accetta l'analisi marxiana in base alla quale il crollo della produzione basata sul valore di scambio, vale a dire il crollo della produzione capitalistica, diviene premessa dell'appropriazione comunista del plusvalore sociale. Quando la legge del valore di scambio cessa di funzionare come elemento di misurazione del lavoro erogato, e deve cessare poiché il processo di produzione immediato ha cessato di essere il fondamento della produzione di ricchezza, la crisi del capitalismo esplode irreversibile poiché il suo funzionamento diviene, come dice Marx, miserabile rispetto alla nuova base produttiva che si è sviluppata. Ed è questa nuova base produttiva, cioè la potenza della cooperazione sociale del lavoro, ad esprimere l'attualità del comunismo. Il comunismo vive nella crisi del capitalismo come condizione di possibilità aperta nel dominio del presente. Qui il movimento di espropriazione degli espropriatori, come delineato da Marx nel commento agli avvenimenti della Comune di Parigi, esprime la piena attualità di questo processo vissuto e consumato tra possibilità generale di liberazione, attraverso la potenzialità espressa nel general intellect, e imbarbarimento sociale nella perpetuazione della crisi del capitalismo[8].

Tuttavia, anziché insistere sui meccanismi ricompositivi, che l'analisi delineata da Marx renderebbe pure possibile attraverso il riferimento alla nozione d'individuo sociale, interpretabile come il costituirsi ontologico di una comunità sociale, la cui potenza si oppone all'esistenza del capitale[9], De Feo insiste sui meccanismi di scissione, che la crisi mette in movimento. Egli scrive:

"Sino a quando lo sviluppo del capitale-piano e dello stato-piano non si è ancora identificato con la crisi, conservando, nel tempo breve o lungo, la forma classica del ciclo come alternanza di espansione e di depressione, il negativo ha funzionato come momento necessario ma subordinato dell'hegeliana Aufhebung del divenire, la rottura rivoluzionaria come variabile dipendente della teleologia storicistico-evolutiva e socialdemocratica dello sviluppo. [...] Sviluppandosi in questo ambito sin dalla 'grande depressione' degli anni '70 del secolo XIX°, giungendo alla crisi degli anni '30, il pensiero negativo, dalla sinistra hegeliana, e dopo con Nietzsche, Freud e Weber, sino ad Heidegger, Bloch, Sartre e i teorici di Francoforte, estendendo la critica sdogmatizzatrice dell'ideologia e della metafisica cristiano-borghesi dal piano etico- individuale a quello storico, sociale ed economico, ha reso possibile quella comprensione astratta ed impersonale delle forze produttive e dei rapporti di produzione – della scienza, del progresso tecnico, del lavoro e dello stato -, che ha reso possibile i processi di razionalizzazione, automazione e massificazione dello sviluppo"[10].
A. Warhol, Hammer and sickle

Il general intellect, combinazione astratta dei saperi epistemici, sapere sociale accumulato, risultato della prassi umana e dell'interazione tra le cose, unità e combinazione del sapere prodotto e disperso nella specificità di ciascuna condizione, separato tuttavia dai produttori medesimi e loro contrapposto nella totalità oggettiva della sua esistenza, diviene prodotto estraneo e separato dai suoi stessi produttori. "La rivoluzione ininterrotta" di cui parla Marx per indicare lo sviluppo delle forze produttive, l'incessante allargamento della circolazione e della produzione, la crescita della produttività sociale attraverso la scienza e il progresso tecnico, non può essere separata – sostiene De Feo - dal polo opposto della negazione coercitiva, della frammentazione, separazione e indifferenza antagoniste a cui il capitale costringe le forze produttive sociali e gli individui sociali per adattarle al dominio della legge del valore.

È qui che la riflessione su Heidegger diviene necessaria per chiarire il nesso antagonistico tra processi di razionalizzazione tecnico-scientifica, automazione, massificazione e distruzione operaia dello stato di cose presente. Heidegger diviene, probabilmente, l'interprete più attuale della devastazione tecnicistica[11], che egli descrive nella forma dell'abbandono dell'essere, della fuga degli dei, della macchinazione, del calcolo, della velocità come tratti distintivi del nichilismo che avvolge la totalità dell'essente[12]. A De Feo, tuttavia, non interessa storicizzare, ancora una volta, il pensiero di Heidegger per mostrarne il carattere e il contenuto di ideologia tardo- borghese del catastrofismo; non gli interessa mostrare, semplicemente, fino a che punto il pensiero di Heidegger sia radicato nello sradicamento della Germania postguglielmina, postbellica e postrivoluzionaria, in cui la tendenza del nuovo industrialismo di massa ha distrutto le basi del lavoro artigianale qualificato e semimanifatturiero[13]. De Feo riflette sul pensiero di Heidegger, poiché gli sembra che "pur nella forma ideologica della reificazione da razionalizzazione, Heidegger coglie il nesso marxiano di sviluppo e crisi, come un'identità non congiunturale, ma costitutiva e progressiva dello sviluppo"[14].

Soffermandosi, in un primo tempo, sul primo Heidegger, De Feo mostra in che maniera la riproposizione della Seinsfrage:

"risponde all'esigenza teorica di restaurare, sulla base di una radicale critica della tradizione filosofica occidentale (la "distruzione della storia dell'ontologia"), una nuova sintesi del reale, che ne ricomponga la frammentazione che lo sviluppo delle scienze, dirette dalla ragione formale e dal pensiero analitico, ha prodotto"[15].

Il compito della Seinsfrage è di:

"trovare, nell'esistenza, nell''orizzonte temporale' del 'problema dell'essere', le condizioni 'ontologico-esistenziali' della 'comprensione totale' dell''essere dell'esserci', la ricomposizione dell'unità e totalità (l''essenza') della 'dispersa molteplicità' e 'incomprensibilità' della cultura borghese"[16].

Da questo punto di vista, il progetto heideggeriano potrebbe essere interpretato come il tentativo di ricomporre una nuova comprensione unitaria della condizione reale dell'esistenza umana, oggettivamente scissa e parcellizzata all'interno della nuova forma di sviluppo capitalistico. Anziché eliminare la dimensione di negatività dell'esistenza, Heidegger ne radicalizza tutte le determinazioni fino a rendere tale negatività "l''orizzonte temporale' (il 'non' della differenza ontologica), da cui diventa comprensibile la 'totalità originaria', il 'fondamento abissale', l''unità originaria' dell''essere dell'esserci'"[17].

Proponendo il problema del senso dell'essere nell'analisi esistenziale del tempo e delle sue modalità costitutive dell'esserci, Heidegger pone l'esigenza della riappropriazione del finito e delle possibilità teoriche della finitudine, a partire dalla negatività dell'universale e irreversibile reificazione.

"La riappropriazione individuale della nullità propria dell'essere, come movimento della Jemeinigkeit, si identifica con la riappropriazione della propria morte e produce la distruzione del proprio essere come condizione per liberare le possibilità d'essere del tempo, della storia e del mondo – la decisione liberatrice dell'"essere per la morte" – il movimento in cui il negativo – il "non" della "differenza ontologica", si illumina e si manifesta come identità del divenire dell'"evento" (Ereignis) in quanto distrugge la storia onto-logica dell'essere, dis-velandone le possibilità a partire dalla radicale propria finitudine, che è, anche, completezza e sovrabbondanza di possibilità d'essere. – La negatività, attraverso il salto della riappropriazione della morte come sua radicale possibilità assoluta, nella comprensione anticipatrice della morte come possibilità 'fondamentale' dell'essere e della sua possibilità, distrugge la sua stessa possibilità, il presupposto stesso della sua scelta individuale – in quanto l'apertura che ha prodotto, nell'anticipazione della morte, rivela l'essere finito, cioè la completezza e totalità dell'essere come e-venire, offrirsi, darsi-donarsi della "cosalità" dell'essere, di ciò che c'è (es gibt). – Che è l'esperienza stessa della cosalità di ciò che c'è, come presenza e presentificarsi e lasciarsi essere dell'estaticità e temporalizzazione dell'essere "che c'è" nella storia, al di fuori e contro ogni determinazione soggettivo-oggettiva, logica, teologica e ontologica della soggettività filosofico-scientifica e teologico-estetica"[18].

In Essere e tempo, quindi, la comprensione della totalità dell'essere si realizza attraverso la riappropropriazione del negativo, attraverso il movimento assoluto e radicale di riappropriazione della propria morte, che rappresenta la possibilità fondamentale dell'essere e al tempo stesso la negazione della sua possibilità. La riappropriazione del negativo, nella forma assoluta e radicale dell'angoscia dell'"essere per la morte", che libera le possibilità d'essere a partire dalla radicale finitudine, esprime l'esigenza di accedere all'Essere nella sua totalità, superando la reificazione in un movimento di riappropriazione delle cose stesse[19].

La reificazione non si esprime solo nella forma della "deiezione", dell'"impersonalità", dell'"inautentico", della dispersione banalizzante del quotidiano, della cura insensata e senza scopo[20], ma altresì nel movimento della metafisica moderna e nel compimento ontologico delle possibilità d'essere del mondo moderno, che si sono dissolte nella razionalizzazione tecnico-scientifica e nei processi di automazione[21].

Se già in Essere e tempo Heidegger esprime, attraverso la riappropriazione individuale del negativo come "essere per la morte", l'esigenza di pensare l'essere "che c'è" o che "si dà", come il negativo della finitudine che si ricompone e si riappropria del suo essere, dopo la Kehre quest'esigenza di pensare l'essere "che c'è" dell'Ereignis, dentro e fuori la presente configurazione onto-teo-logica della tecnica moderna, si afferma con ancor maggior forza. Rovesciando la Seinsfrage, trasferendola, cioè, "dall'orizzonte di senso della temporalità dell'esserci a quello più propriamente costitutivo dell'essere in quanto evento"[22], Heidegger indica il compito immediato di un pensiero, che, nel rifiuto dell'esistente, disocculta l'essere dell'"evento, nel rifiuto del movimento che si è oggettivato-espropriato-razionalizzato nella tecnica moderna libera ciò "che c'è" nella storia.

Restando all'interno della determinazione storica, il pensiero negativo, sostiene De Feo:

"può riproporsi solo in quanto si ricompone, nel rovesciamento della sua funzione di razionalizzazione e pianificazione dell'esistente, come pratica della negazione, non in inutili profondità interiori, ma nell'effettiva materialità dello scontro e della lotta, in cui emerge il possibile come il movimento che rovescia lo stato di cose presente, di cui parla Marx"[23].

Rifiutando la forma della razionalizzazione e dell'oggettivazione tecnico- scientifica, il compito del pensiero è quello di far emergere, come "evento" ed "evenire", ciò "che c'è" nella storia come possibilità proprie dell'essere.

De Feo riconosce nell'opera di Heidegger una potenzialità che viene dalla forma del pensiero negativo come capacità di liberare l'essere come possibilità del diverso, "lasciandolo essere al di fuori e contro le sue forme di dissoluzione nelle macchinazioni del potere e nella pianificazione utlilitaristica della manipolazione di massa"[24].

L'opera di Heidegger diviene il simbolo della ricerca impotente di un'alternativa alla società di massa degli anni Trenta, di una lotta contro il potere presente, che, tuttavia, trova la sua sola forma di espressione in una resistenza e rivolta interiorizzata contro l'imbarbarimento. Scrive De Feo, interpretando i Beiträge zur Philosophie di Heidegger:

"'Il sacro' è l'unica protesta del singolo, [...] non è un ritorno al Dio del cristianesimo, ma l'apertura di una possibilità d'essere diversa e nuova, l'essere come evento appropriante dell'assolutamente altro. [...] E l''ultimo Dio' non è il Dio cristiano del passato, cioè della fine, ma il Dio che non è, che aspira e ha bisogno di essere, che è da venire. [...] Il rifiuto del cristianesimo nasce dal rifiuto del potere totale, storico, sociale e politico, il potere dell'essente nella sua totalità con cui il Dio cristiano si è identificato con l'essere, si è annullato: l'identità ontoteologica del Dio cristiano, con l'essere e col potere dell'essente, è stata la morte di Dio"[25].

La potenzialità del pensiero di Heidegger è tutta implicita in questo movimento del pensiero negativo come pratica che, rovesciando lo stato di cose presente, rifiutando il potere delle essente, libera l'essere come possibilità del diverso, come differenza. Assumendo la comprensione nichilistica dell'essere come ciò che è in quanto si dà, Heidegger non solo rompe il carattere teleologico della temporalità fissando il movimento di storicizzazione dell'essere in un principio an-archico[26], ma distrugge anche il nesso razionalistico della scienza come potenza e forza sociale emancipatrice, guida e comando della "totalità dell'essente", e coglie la sostanza reificata dei processi di socializzazione e razionalizzazione del capitalismo.

Da questo punto di vista, Heidegger, pensatore della sussunzione reale, definisce, secondo De Feo, il carattere specifico del movimento della razionalizzazione capitalistica, poiché, distruggendo la concezione antropologica e strumentale della tecnica, la fede e la fiducia nel controllo e nella volontà di dominarla da parte dell'uomo, mostra il carattere astratto ed impersonale delle forze produttive e dei rapporti di produzione. Attraverso il riferimento alla questione della tecnica, Heidegger esprime il movimento impersonale di massificazione e reificazione universale della condizione umana. La tecnica, come forza non d'illuminazione ma di oscuramento e manipolabilità, rivela il coinvolgimento dell'uomo stesso nel meccanismo di dominio dell'ente, l'impossibilità di sottrarsi all'im-posizione in quanto l'uomo stesso è ingranaggio del funzionamento del meccanismo di disvelamento pro-vocante[27].
Se, da un lato, è vero che l'analisi heidegerriana, descrivendo il carattere astratto ed impersonale delle forze produttive e dei rapporti di produzione, fissa il contenuto specifico della crisi e della razionalizzazione capitalistica, dall'altro lato, per evidenziarne tutto il contenuto dirompente, sarebbe necessario rovesciarla, ponendola in relazione con la marxiana analisi del rapporto tra miseria assoluta e possibilità generale della ricchezza. Allo stesso tempo, ciò che l'analisi heideggeriana consente, attraverso la distruzione che essa opera della teleologia storicistica, tipica dell'Aufhebung hegeliana, è il recupero del negativo come aspetto irriducibile e antagonistico, che impedisce qualsiasi integrazione dell'opera di Marx in una logica dello sviluppo[28].

Da questo punto di vista, l'opera di De Feo nasce e si colloca su un piano profondamente antidialettico, al quale concorre l'interpretazione dell'opera di Nietzsche[29]. Probabilmente Nietzsche è l'autore, nella cui prossimità De Feo avverte con maggiore intensità il calore di una comunanza filosofica. A De Feo non sfugge la dimensione tragica della rivolta nietzscheana e il carattere singolare di una filosofia nella quale il movimento negativo della critica e della distruzione dello stato di cose presente è intimamente legato alla possibilità di creazione di nuovi valori. Nella rivolta individuale, singola, tragica di Nietzsche, De Feo intravede il potenziale della rivolta collettiva del proletariato sociale:

"Perché solo il proletariato sociale, come costituzione materiale di produttività, soggetto di bisogni, di desideri, di lotte, di rifiuto, di scoperte e di creatività, può adeguatamente esprimere ed attuare la potenzialità di movimento antagonista del corpo nietzscheano che, privo com'è nell'esperienza singola di Nietzsche, della soggettività collettiva e interpersonale della sua stessa costituzione materiale, resta condannato alla follia"[30].

Se la filosofia di Nietzsche radicalizza anch'essa le potenzialità del negativo, come pratica distruttrice dei valori esistenti, il posto che essa occupa è del tutto singolare, poiché la critica anticristiana, antiborghese e antisocialista di Nietzsche, è movimento che distrugge e libera nello stesso tempo e può essere associata – come fa De Feo – all'idea marxiana di comunismo non come ideale, né come valore, ma movimento reale che rovescia lo stato di cose presente[31].

Per De Feo, come per Deleuze[32], il progetto più generale di Nietzsche è consistito nell'aver introdotto in filosofia i concetti di senso e di valore.

La filosofia dei valori, così come Nietzsche la concepisce, è la vera realizzazione della critica, la sola maniera di realizzare la critica totale, cioè di fare della filosofia a colpi di martello. La nozione di valore implica un rovesciamento critico. Da una parte, i valori appaiono o si danno come dei principi: una valutazione presuppone dei valori a partire dai quali apprezzare i fenomeni. D'altra parte, e più profondamente, sono i valori che presuppongono delle valutazioni, dei punti di vista d'apprezzamento, da cui deriva il loro stesso valore. Il problema critico è, dunque, il valore dei valori, la valutazione da cui deriva il loro valore, cioè il problema della loro creazione[33].

Distruggendo lo stato di cose presente non solo si libera nuova possibilità d'essere, ma si crea anche la possibilità d'affermazione e creazione di nuovi valori. De Feo scrive:

"'arte di rovesciare le prospettive' e 'inversione di tutti i valori' definiscono, per Nietzsche, la spirale antinomica della liberazione antagonista, che emerge come soggettivazione dell'oggettività reificata (il "dionisiaco"), un movimento pratico-teorico di negazione delle negazioni istituzionalizzate, che distrugge ogni pianificata o tendenziale organizzazione di fini, scopi o valori 'in sé' (l'"apollineo"), di cui mostra l'intrinseca distruttività repressiva e annientatrice (il "nichilismo")[34].

Non si tratta – sostiene De Feo - di inventare nuovi valori, più giusti, più umani, più veri, ecc., ma di distruggere l'intrinseca validità dei valori e della valorizzazione, cioè del movimento del dover-essere, della pianificazione e della strategia, dalla pietà cristiana al lavoro socialista. L'apollineo rappresenta, quindi, "lo stato presente del dominio", la controtendenza di repressione-oppressione-falsificazione all'emergenza della liberazione dei bisogni. Il dionisiaco, al contrario, è la sovversiva negazione del presente reificato. L'emergenza dei bisogni e la riappropriazione della corporeità sono il contenuto irreificabile del gioco antinomico del movimento di sabotaggio della forma- stato del lavoro e del pensiero pianificato.

Nella capacità di distruggere, di distruggere il valore presente del valore, si dà la possibilità di senso e l'apertura possibile per la creazione di nuovo valore. Tuttavia, ancora una volta, De Feo mette in rilievo l'ambivalenza di questo movimento di liberazione delle possibilità d'essere, poiché la liberazione è solo pensiero negativo

"fino a quando resta chiusa nell'impotenza schizofrenica dell'aristocrazia individuale, ma [...] libera, invece, la riappropriazione di massa dell'individuo sociale di cui parla Marx nei Grundrisse, quando si rovescia e diventa il terreno proprio di una nuova teoria e pratica collettive dei bisogni"[35].

Questa capacità distruttiva dei valori esistenti e del dominio attuale è storicamente localizzata, da De Feo, nell'azione e nelle potenzialità dei movimenti antagonisti, che attraversano la realtà anche al di là della nostra volontà di controllarli o imprimerli una direzione. Il movimento di creazione dei valori (che riposa sulla distruzione dei valori presenti) acquista senso e significato, per De Feo, solo all'interno della riproduzione antagonista dei rapporti di forza, che attraversano il reale. Il movimento antagonista, negando la realtà del valore esistente, crea la condizione per produrre nuovo senso e nuovo valore, ma in sé non è portatore di un senso e di un valore già definito. L'opposizione di apollineo e dionisiaco non rimanda al contrasto tra menzogna e verità, ma esprime un rapporto di forza antinomico all'interno del quale prende effetto, per dirla con Foucualt, la produzione politica di verità. Il tragico, il dionisiaco, la volontà di potenza divengono, nell'opera di De Feo, espressioni del movimento antagonista del soggetto, che usa la violenza contro la violenza per liberare la forza, distruggere e superare violenza e sfruttamento, trasformandoli, forse, ma non soltanto, in capacità di e in potere di godimento[36].

Non bisognerebbe pensare che l'opera di De Feo miri a recuperare un'umanità perduta, punti a liberare o a produrre "l'uomo nuovo". Radicalizzare le possibilità del finito, distruggere le forme e le forze esistenti, vuole dire creare nuovi composti di forza[37]. Sebbene De Feo impieghi spesso le nozioni di repressione, alienazione, reificazione, dominio, esse non vanno intese come se alludessero a dei processi che si sovrappongono su un soggetto "libero" per natura.

Critica e resistenza sono, per De Feo, le armi di una lotta perenne dentro questo sistema, contro questo sistema, e non per un sistema diverso. La lotta per l'assoluta libertà non è più il fine, ma il mezzo attraverso il quale la radicalizzazione dei bisogni si afferma come il contenuto antinomico proprio del divenire dell'essere.


[1] Marcel Schwob, Vies imaginaires, Gallimard, Paris, 1957.

[2] Nelle pagine che seguono ci soffermeremo in particolar modo sui due studi pubblicati da De Feo nel 1992. Cfr. Nicola Massimo De Feo, Riformismo, Razionalizzazione, Autonomia operaia. Il Verein für Sozialpolitik (1872-1933), Lacaita, Manduria-Bari-Roma, 1992 e Id., L'autonomia del negativo tra rivoluzione politica e rivoluzione sociale, Lacaita, Manduria-Bari-Roma, 1992, d'ora in poi citati con le sigle RRA e AN. Si tratta di due volumi di ricerca storica e teorica, che si integrano l'un l'altro. Nell'uno, De Feo ripercorre la storia e il dibattito della sociologia tedesca degli anni del Reich, soffermandosi sull'esperienza del Verein für Sozialpolitik ("Associazione per la politica sociale") e sul lavoro svolto in tale contesto soprattutto da Max Weber e Werner Sombart. Nell'altro, l'Autore oppone alla storia del riformismo e della razionalizzazione capitalista l'emergenza sovversiva del proletariato sociale, la cui azione è descritta attraverso il rimando ad una serie di vicende storiche insurrezionali, nelle quali la lotta collettiva si confonde, talvolta, con quella individuale, espressa da figure quali Sergej Necaev, August Reinsdorf, Johann Most, Joseph Peuckert, Arnold Roller, Karl Plättner. Come lo ha ben rilevato Ottavio Marzocca, nella sua presentazione al volume Ragione e Rivolta (cfr. N. M. De Feo, Ragione e Rivolta. Saggi e interventi 1962-2002 – a cura di Ottavio Marzocca -, Mimesis, Milano, 2005, d'ora in poi citato con la sigla RR): "l'aspetto fondamentale di questo orientamento che la ricerca di De Feo assume soprattutto dalla metà degli anni Settanta consiste nel rilevamento storico della divaricazione che, specie nelle fasi di acuto scontro politico-sociale, si crea tra le lotte di ampi settori della classe operaia e del proletariato, da un lato, e le strategie 'socialiste' e 'riformiste' delle organizzazioni principali del Movimento Operaio, dall'altro" (ivi. p. 20).

[3] Marcel Schwob, Vies imaginaires, cit., p. 16.

[4] Foucault utilizza le espressioni ontologia del presente e ontologia dell'attualità nel contesto della sua interpretazione dell'Illuminismo e della questione critica posta da Kant. Cfr. Michel Foucault, Qu’est-ce que les Lumières, in Dits et écrits, Gallimard, Paris, 1994, vol. IV, p. 687 (tr. it. in Archivio Foucault. Interventi, colloqui, interviste, 1971-1977, vol. 2, - a cura di A. Dal Lago -, Feltrinelli, Milano, 1997, p. 261). Non privo d'importanza ci pare, inoltre, il fatto che Foucault, in altra sede, dichiari che per comprendere il modo in cui ci siamo lasciati prendere nella trappola della nostra propria storia occorra riferirsi a dei processi storici che sono avvenuti in epoche ben più remote che la nostra. In questa maniera, Foucault imprime alla sua ricerca una direzione ben diversa da quella seguita da De Feo. Cfr. M. Foucault, Omnes et singulatim. Vers une critique de la raison politique, in Dits et écrits, vol. IV, cit., p. 136 (tr. it. in M. Foucault, Biopolitica e liberalismo – a cura di O. Marzocca -, Medusa, Milano, 2001, p. 111). Probabilmente, occorrerebbe chiedersi, con più insistenza di quanto possiamo farlo in questa sede, come sia possibile che la critica nietzscheana dell'Illuminismo e della razionalità, che certamente agisce con forza tanto in Foucault quanto in De Feo, porti il primo, attraverso una sorta di "positivismo felice", ad aggirare il tema della crisi e a risolversi in un'analisi delle diverse forme di razionalizzazione, che ne rappresenta, al tempo stesso, una storicizzazione, e il secondo a permanere, attraverso la forza del negativo, nell'analisi della crisi e della razionalizzazione come le forme storiche entro le quali si dà lo sviluppo del capitalismo e dell'antagonismo. In De Feo, il negativo, liberato dal guscio della sua funzionalità allo sviluppo, diviene elemento di crisi e di rottura della razionalità del sistema (cfr. N. M. De Feo, Marx, Heidegger e l'autonomia del negativo, in AN, p. 354). Radicalizzato nella sua autonomia, il negativo assurge a momento fondativo del mutamento dell'esistente (ivi., p. 234). Questa linea di ricerca, che non va ridotta a semplice critica degli eccessi, degli errori o delle illusioni della razionalità europea, scopre il potenziale sovversivo del corpo reificato e della sua finitudine. Liberando l'analisi storica da ogni ipostasi trascendentale di senso e accettando la cosalità di ciò che c'è nella storia come innocenza del divenire (ivi., p. 356), De Feo, da un lato, rinuncia alla critica della razionalità o irrazionalità del sistema condotta in conformità a valori ipostatizzati dalla coscienza, dall'altro, attribuisce alle forze oppresse del corpo la capacità e potenzialità di produrre senso e creare valore attraverso il loro movimento distruttivo delle stato di cose presente. In Foucault, la critica antitrascendentale di Nietzsche si traduce, da un lato, in un percorso genealogico di analisi di un certo numero di pratiche sociali concrete, che sono produttive di saperi, poteri e forme di razionalizzazione; dall'altro, nel rifiuto degli universali come griglia di intelligibilità per le suddette pratiche sociali concrete. Foucault non interroga la storia per mostrare la correttezza o meno di una nozione universale, ma presuppone l'inesistenza di una tale nozione per chiedersi che tipo di storia sia possibile scrivere a partire da eventi e pratiche diverse, che sembrano raccogliersi intorno a qualcosa supposta essere la nozione universale (Cfr. M. Foucault, Naissance de la biopolitique, Gallimard, Paris, 2004, p. 5 – tr. it. Nascita della biopolitica, Feltrinelli, Milano, 2005 - e Id, Le sujet et le pouvoir, in Dits et Ecrits, vol. IV, cit., p. 226, - tr. it. in H. Dreyfus e P. Rabinow, La ricerca di Michel Foucault, Ponte alle Grazie, Firenze, 1989, p. 239).

[5] Cfr. RRA,. p. 5.

[6] N. M. De Feo, Critica del riformismo, ideologia del lavoro e autonomia operaia nei Grundrisse di Marx, in RRA, p. 505. Cfr. Karl Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica, vol. II, La Nuova Italia, Firenze 1970, pp. 406 e segg. e p. 402. Nella sua interpretazione di Marx, De Feo segue una traiettoria teorica che lo pone in dialogo con le grandi correnti del neomarxismo italiano, dall'operaismo (R. Panzieri, M. Tronti) all'esperienza dell'autonomia operaia (A. Negri, S. Bologna), e con gli studi di Karl Heinz Roth sull'altro movimento operaio. Soprattutto i riferimenti all'opera di Antonio Negri si moltiplicano nelle sue ricerche (cfr. A. Negri, Marx oltre Marx, Feltrinelli, Milano, 1978 e Id., Crisi dello Stato piano, comunismo e organizzazione rivoluzionaria, Feltrinelli, Milano, 1974). Se, da un lato, è il carattere rivoluzionario e antagonistico dell'opera di Marx ad interessare De Feo, ossia il metodo marxiano della tendenza e la sua descrizione della crisi come "unità violenta" delle contraddizioni dello sviluppo, dall'altro lato, è la critica marxiana come "delineazione teorica del progetto operaio di distruzione del lavoro salariato, come alternativa rivoluzionaria alla pianificazione socialista del capitale sociale a partire dal lavoro astratto" (RRA, p. 509) a costituire il punto sul quale converge maggiormente la sua attenzione.

Persino nei suoi corsi universitari, De Feo insiste con forza sul carattere politico-rivoluzionario del progetto marxiano e riprende quelle parti dell'opera di Marx consacrate alla critica del proudhonismo e del socialismo come ideologia dello scambio giusto e dell'egualitarismo della distribuzione. (Cfr. RRA., pp. 505-522; K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica, vol. I, cit., pp. 41- 203; A. Negri, Marx oltre Marx, cit., pp. 32-68). Nel suo lavoro teorico, De Feo segue due piste: da un lato, riprendendo la storia del Verein für Sozialpolitik, e in particolar modo le opere di Weber e di Sombart, egli mostra il tentativo di una parte della sociologia tedesca di ridurre l'opera di Marx e del marxismo ad ideologia del lavoro funzionale allo sviluppo del capitalismo; dall'altro lato, opponendosi a questa tendenza, che mira a "legalizzare" l'opera di Marx, espungendone il carattere politico- rivoluzionario, tendenza divenuta più che attuale anche e soprattutto nella storia del riformismo socialdemocratico, attraverso i diversi programmi e le ideologie dei partiti socialisti, comunisti e del movimento operaio ufficiale, De Feo riprende la storiografia dell'altro movimento operaio per mostrare l'irriducibilità del progetto marxiano a logiche integrative dello sviluppo.

[7] AN, p. 337.

[8] Sul movimento di espropriazione degli espropriatori cfr. Karl Marx, La guerra civile in Francia, Editori Riuniti, Roma, 1977. Sull'interpretazione del comunismo nei Grundrisse di Marx, cfr. A. Negri, Marx oltre Marx, cit., pp. 160-177, in cui l'Autore mette in rilievo la centralità della critica antidialettica di Marx; cfr. anche S. Bologna, Moneta e crisi: Marx corrispondente della "New York Daily Tribune" 1857-58, in AA.VV, Crisi e organizzazione operaia, Feltrinelli, Milano 1974.

[9] Sulla potenza dell'individuo sociale, sulla possibilità di rovesciare il dominio presente e sulla costituzione ontologica della multitudo insiste, da lungo tempo, Antonio Negri. Partendo da un'analisi storica, inerente i meccanismi di modificazione della composizione di classe nel capitalismo avanzato, Negri, nel suo lungo lavoro di ricerca, ricostruisce la genealogia della costituzione ontologica della moltitudine nell'epoca moderna e mostra le diverse figure attraverso le quali si produce questa molteplicità di differenze singolari, fino al momento in cui essa viene a scontrarsi con l'Impero. Cfr. A. Negri, L'anomalia selvaggia. Saggio su potere e potenza in B. Spinoza, Feltrinelli, Milano 1981; Id., Lenta Ginestra. Saggio sull'ontologia di Giacomo Leopardi, Sugarco, Varese, 1987; Id, Il potere costituente. Saggio sulle alternative del moderno, Sugarco, Varese, 1992; A. Negri/M. Hardt, Empire, Harvard University Press, Cambridge, 2000 (tr. it., Rizzoli, Milano, 2002); A. Negri/M. Hardt, Multitude. War and Democracy in the Age of Empire, The Penguin Press, New York, 2004 (Rizzoli, Milano, 2004).

[10] AN, pp. 347-348.

[11] Cfr. R. Schérer / A. L. Kelkel, Heidegger ou l'éxperience de la pensée, Seghers, Paris, 1973 in cui gli Autori mostrano come Heidegger esprima, nel dominio planetario della tecnica, la potenza della ragione dell'uomo moderno. Gli Autori richiamano, inoltre, l'attenzione sulla totale assenza, in Heidegger, di una ricerca di tipo causale (alla maniera marxiana) delle origini della crisi attuale. Nonostante ciò, per loro, l'interpretazione di Heidegger resta sovversiva ed "inattuale", nel senso nietzscheano, perché essa rompe con una certa idea della storia e della sua evoluzione.

[12] Cfr. M. Heidegger, Introduzione alla Metafisica, Mursia, Milano, 1990, pp. 46-49; Id., Oltrepassamento della metafisica, in Saggi e Discorsi, Mursia, Milano, 1991, pp. 60-64.

[13] Su questi percorsi, tuttavia, De Feo si sofferma pure. Cfr. RR, pp. 230-232 e pp. 294-295.

[14] N. M. De Feo, Marx, Heidegger e l'autonomia del negativo, in AN, pp. 346-347.

[15] N. M. De Feo, Analisi e critica dell'alienazione in Heidegger, in RR, p. 230.

[16] Ivi., p. 231.

[17] Ivi., p. 232.

[18] N. M. De Feo, Marx, Heidegger e l'autonomia del negativo, in AN, pp. 355-356.

[19] Cfr. M. Heidegger, Essere e Tempo, Longanesi, Milano, 1970, §§ 46-53.

[20] Cfr. ivi., §§ 27 e §§ 34-38.

[21] Cfr. M. Heidegger, L'epoca dell'immagine del mondo, in Sentieri interrotti, La nuova Italia, Firenze, 1968; Id., La questione della tecnica, in Saggi e Discorsi, cit.

[22] N. M. De Feo, Il sacro e il potere in Heidegger, in RR, p. 289-290. Cfr. M. Heidegger, Beiträge zur Philosophie (Vom Ereignis), Klostermann, Frankfurt am Main, 1989 e Id., Tempo ed Essere, Guida, Napoli, 1980.

[23] N. M. De Feo, Marx, Heidegger e l'autonomia del negativo, in AN, p. 364.

[24] N. M. De Feo, Il sacro e il potere in Heidegger, in RR, cit. p. 302.

[25] Ivi., pp. 300-301.

[26] Cfr. Rainer Schürmann, Que faire à la fin de la metaphysique, in AA.VV., Heidegger, "Cahier de l'Herne" (1983), pp. 449-477 e Id., Le principe d'anarchie. Heidegger et la question de l'agir, Editions du Seuil, Paris, 1982 in cui l'Autore analizza il concetto heideggeriano di Es gibt come principio anarchico.

[27] Cfr. M. Heidegger, La questione della tecnica e Oltrepassamento della Metafisica, in Saggi e discorsi, cit. Gianni Vattimo, nell'introduzione al volume, afferma che in Heidegger si pone il problema di una riappropriazione del mondo dei significati da parte del singolo esistente concreto: "perché nella società della pianificazione massificata il singolo diventa una rotella in un ingranaggio il cui funzionamento inevitabilmente gli sfugge" (ivi., p. IX). Cfr. G. Granel, Écrits logiques et politiques, Galilée, Paris 1990, il quale, riprendendo la riflessione "après Heidegger", mostra come Heidegger e Marx modifichino radicalmente la questione del soggetto. Essi rompono con la tradizione nella misura in cui trasformano il soggetto da un "Quoi" in un "Qui" e lo identificano ora col "Capitale" ora con l'essenza della tecnica o con l'invio dell'essere. In ogni caso rompono con la forma della persona umana o con quella del dio speculativo-razionale o del dio-cristiano.

[28] A questo riguardo, l'importanza dell'interpretazione, che De Feo sviluppa dell'opera di Heidegger, sarebbe solo parzialmente comprensibile, se non fosse messa in relazione con il lavoro teorico da lui svolto intorno alla sociologia tedesca degli anni del Reich. Non solo De Feo indica l'esigenza di porre in relazione l'analisi heideggeriana con le riflessioni sociologiche che, da Weber a Sombart, hanno definito il contesto dell'analisi del movimento della Rationalisierung. Ma egli si sforza, altresì, di mostrare sino a che punto la sociologia tedesca, alla quale fa riferimento, abbia cercato di separare e usare la funzione razionalizzatrice del Marx scienziato dalla e contro la funzione rivoluzionaria del "Marx politico". Scrive De Feo: "Il marxismo, come teoria che spiega la dinamica dello sviluppo delle forze produttive e dei rapporti di produzione, una volta 'liberato' dalla funzione critica di teoria della rivoluzione proletaria e della crisi del sistema, diventa, allora, per Weber e Sombart, lo strumento teorico più adeguato a questo scopo: la sua utilizzazione, per lo sviluppo capitalistico" (Cfr. N. M. De Feo, La ragione sovversiva. Appropriazione e irrazionalismo in Weber, Sombart, Marx, Edizioni B.A. Graphis, Bari, 2000, p. XIV).

[29] Per un'adeguata comprensione dell'importanza che l'opera di Nietzsche ricopre nel pensiero di De Feo, con riferimento particolare alla sua esegesi di Heidegger, cfr. Rita Casale, L'esperienza Nietzsche di Heidegger tra nichilismo e Seinsfrage, Bibliopolis, Napoli, 2005. Attraverso la disamina del confronto heideggeriano con Nietzsche, lungo tutto l'arco della sua produzione filosofica, l'Autrice si sofferma su alcuni nodi concettuali fondamentali, che riguardano la proposizione heideggeriana della Seinsfrage, come alternativa al nichilismo. La ricostruzione storica di questo confronto è decisiva per comprendere, da un punto di vista filosofico, la maniera in cui De Feo si posiziona rispetto all'opera di Heidegger.

[30] AN, p. 250.

[31] N. M. De Feo, Nietzsche e il comunismo, in AN, p. 365.

[32] Cfr. N. M. De Feo, Analitica e Dialettica in Nietzsche, Adriatica, Bari, 1965; Gilles Deleuze, Nietzsche et la philosophie, PUF, Paris, 1962 (tr. it. Feltrinelli, Milano, 1992); Utili elementi di riflessione, per comprendere anche i percorsi ultimi del pensiero di De Feo e il suo rinnovato accostamento all'opera di Deleuze, sono contenuti in Rita Casale, Il tragico corpo nietzscheano di G. Deleuze, in "Paradigmi", 1996, n°40, pp. 555-592, in cui l'Autrice mostra il carattere profondamente antidialettico del pensiero deleuziano, a partire dalla sua interpretazione (1962) dell'opera di Nietzsche.

[33] Cfr. G. Deleuze, Nietzsche et la philosophie, cit., p. 1.

[34] N. M. De Feo, Nietzsche e il comunismo, in AN, p. 369-370.

[35] Ivi., p. 370.

[36] L'analisi di De Feo si avvicina molto, da questo punto di vista, a quella di Foucault, il quale distingue le relazioni strategiche di potere, gli stati di dominazione e le forme di governo. La resistenza contro una forma di governo determina il rovesciamento di uno stato di dominazione, ma, al tempo stesso, questo cambiamento di prospettiva produce, a sua volta, nuove forme di dominio e di governo, in un gioco infinito di relazioni strategiche. (Cfr. Michel Foucault, L’éthique du souci de soi comme pratique de la liberté, in Dits et écrits, vol. IV, p. 728 (tr. it. in Archivio Foucault, cit. vol. III, ivi. p. 293).

[37] Deleuze, a proposito di Foucault, scrive: "Si obietterà che tali forze presuppongono già l'uomo in quanto forma, ma non è così. Nell'uomo, le forze presuppongono soltanto dei luoghi, dei punti di applicazione. [...] Si tratta di sapere con quali altre forze entrino in rapporto le forze dell'uomo, in questa o quella formazione storica, e quale forma derivi da tale composto". (Gilles Deleuze, Foucault, Milano, 1987, p. 124).