Letizia Konderak, 19/11/2022
Materiale datato: 10/11/2022
A vent’anni dalla prematura scomparsa di Nicola Massimo de Feo il testo giovanile del professore di Filosofia Morale dell’Università di Bari Analitica e dialettica in Nietzsche è stato ripubblicato nel 2022 dall’editore romano Efesto, arricchito da una Presentazione di Ottavio Marzocca, già professore presso l’Università di Bari, e Andrea Russo, membro del collettivo di ricerca Action30[1].
La ristampa di questo lavoro, edito per la prima volta nel 1965 da Adriatica Editrice (Bari), si situa nel contesto di una riscoperta del pensiero del filosofo barlettano promossa dall’Archivio de Feo, un gruppo di studiosi e docenti che opera per la diffusione di testi di e su de Feo, anche mediante la digitalizzazione di alcuni di essi.
Analitica e dialettica in Nietzsche, come la Presentazione del libro chiarisce, restituisce le ragioni dell’interesse precoce per il filosofo tedesco di de Feo – che già nella sua prima opera, Kierkegaard, Nietzsche, Heidegger. L’ontologia fondamentale, pubblicata nel 1964, aveva analizzato il pensiero di questo autore. Tali ragioni debbono essere individuate nell’ipotesi che le antinomie che Nietzsche condensa nel suo pensiero e nella sua esistenza siano una lente d’ingrandimento attraverso la quale «le contraddizioni profonde della società europea» (p. 4) riescano ad accedere alla parola. Vi è infatti, agli occhi di de Feo, una sostanziale continuità tra la società europea della seconda metà del XIX secolo e quella a lui contemporanea[2]. Perché l’attualità del pensiero nietzschiano possa emergere, de Feo mette in atto una complessa operazione di reciproca comunicazione (Auseinandersetzung); tale operazione si nutre certo delle molteplici letture di Nietzsche che hanno popolato la prima metà del XX secolo – dunque di quegli autori che variamente si sono appropriati di Nietzsche, come Heidegger, Jaspers, Freud. Tuttavia, la reciproca comunicazione compie anche un movimento anticiclico, applicando a Nietzsche concetti impiegati da filosofi da lui lontani, come Marx e Husserl, al fine di indagare la storicità da cui Nietzsche stesso fu condizionato, nonché di accrescere le potenzialità analitiche del pensiero nietzschiano. De Feo impiega ad esempio il concetto jaspersiano di situazione-limite (p. 104) in riferimento alla malattia di Nietzsche, ma rifiuta la lettura meramente biologistica che Jaspers offre della malattia (p. 136). Egli denomina l’attingere di Nietzsche alla vita come metodologia analitico-fenomenologica, eppure rifiuta la lettura reazionaria contenuta nel Nietzsche di Heidegger, secondo la quale il senso dell’essere veicolato dall’eterno ritorno nietzschiano sarebbe quello dell’essere-stato, del passato cristallizzatosi nella totalità dell’essere (p. 126). Egli sovrappone l’epoché e la riduzione trascendentale di Husserl all’Umwertung der Werte di Nietzsche, e accavalla la Lebenswelt, il dionisiaco e la volontà di potenza. Egli impiega gli studi freudiani sul sogno per descrivere l’effetto d’apparenza generato dallo spirito apollineo (p. 26), che ricopre il pessimismo dionisiaco della fondamentale esperienza greca del mondo. De Feo, infine, utilizza il concetto marxiano di dialettica per raccontare la contraddizione che il pensiero nietzschiano rivela e di cui Nietzsche è portatore anche attraverso la sua vita. Obiettivo di Analitica e dialettica in Nietzsche è mostrare il gesto di rivolta che si colloca al fondo del pensiero nietzschiano – e va ben oltre la liberazione di Nietzsche dalle letture nazificanti (p. XXII) ancora molto diffuse nel 1965. Nietzsche è per de Feo piuttosto uno di quei pensatori che ha saputo portare alla luce il negativo, dandogli voce e vivendo le contraddizioni del suo tempo.
A scanso di equivoci, la contraddizione di cui parla de Feo non è da intendersi come un’incoerenza puramente logica, ma è piuttosto la cifra della profondità cui Nietzsche giunge nel penetrare il reale: l’articolarsi di Analitica e dialettica in Nietzsche in tre capitoli (il tragico, il prospettivismo, l’eterno ritorno) non risponde così a un’esigenza meramente analitica o storiografica, ma rispecchia piuttosto il processo di approfondimento concettuale delle contraddizioni messo in atto da Nietzsche, un approfondimento per il quale il filosofo si serve della sua stessa esistenza. Per de Feo, infatti, la malattia di Nietzsche deriverebbe dalla scissione della sua personalità, frutto dei continui rivolgimenti e delle inversioni in cui egli si ingorga nel corso della sua riflessione[3].
Fondamentali sono dunque i due concetti di analitica e dialettica: de Feo impiega tali strumenti attraverso un’appropriazione radicale. Da un lato, infatti, l’analitica esistenziale di matrice heideggeriana non descrive le strutture dell’essere dell’esserci[4], ma la metodologia che rivela il radicarsi della filosofia, della scienza, dell’arte e della morale nella Lebenswelt. Dall’altro, de Feo libera la dialettica dalla sua funzione di conciliazione sintetica degli opposti[5], e impiega tale termine per descrivere i rivolgimenti, lo scavare sotto le superfici, il far stridere le contraddizioni e l’individuare l’unità profonda tra elementi apparentemente contrapposti che anche il pensiero nietzschiano mette in atto. D’altronde, la dialettica si rivela come uno strumento scientifico adatto a patto di non ipostatizzarne il contenuto e il movimento. Per de Feo la dialettica, in termini marxiani, riunisce nella crisi l’unità violenta degli opposti[6]: il suo valore non risiede soltanto nell’essere il motore del processo di riconciliazione e sintesi, o di individuazione della profonda unità di fenomeni apparentemente contrapposti, ma anche nell’essere il perno irrisolvibile della contraddizione stessa. In tal quadro, il negativo deve essere riaffermato nella sua radicale autonomia[7].
Nel saggio del 1965 analitica e dialettica si rivelano essere due aspetti della medesima metodologia, ed esse pervadono tutte e tre le parti del testo: l’analitica consiste nella riconduzione di ciò che di volta in volta viene analizzato con sguardo scientifico all’esistenza, a quel mondo della vita di cui parla Husserl, un mondo che è ineluttabilmente segnato dalla contraddizione e dal negativo; la dialettica consiste nel cogliere le contraddizioni senza risolverle, riconoscendo nello stesso tempo il radicarsi delle più elevate manifestazioni dello spirito in esigenze umane.
Nella prima parte del testo la dialettica si declina come contraddizione irrisolta e irrisolvibile tra il dionisiaco e l’apollineo: il dionisiaco nietzschiano viene inteso da de Feo come il fondamento abissale che l’esperienza greca riassume nel pessimismo del Sileno[8]; l’apollineo corrisponde invece, in una lettura quasi anassimandrea, all’estrazione e alla costruzione di forme belle, morali e razionali del caos dionisiaco; sono tali forme che rendono la vita sopportabile e possibile per l’uomo greco. La dialettica afferra però il dionisiaco che non cessa di sussultare sotto l’apparenza dell’ordine, per riemergere come nuova consapevolezza del negativo, come rinnovato pessimismo; eppure, anche da tale ricongiungimento al dionisiaco non potranno che derivare nuove forme, nuove solidificazioni che sorgono da rinnovate e mutate esigenze umane. L’analitica, invece, radica nei bisogni vitali dell’uomo greco quell’immagine idealizzata della grecità contro la quale Nietzsche si scaglia: si tratta dello stereotipo dell’arte e della cultura greca come incarnazione della serenità, della perfezione e dell’ordine che si era imposto a partire da Winckelmann, Goethe e Schiller (p. 18), e che a ben vedere coglie soltanto le istanze apollinee della grecità.
Nella seconda parte del testo, dedicata al prospettivismo, alla volontà di potenza e all’inversione dei valori, si vede Nietzsche approfondire la contraddizione che la prima sezione aveva lasciato emergere. In particolare, ora sono i valori morali, scientifici e filosofici a essere oggetto di indagine; nel corso di tale ricerca il filosofo tedesco – sottolinea de Feo – mette in atto una vera e propria critica dei valori, «ponendosi […] al livello di una fenomenologia genetica e descrittiva dei reali processi esistenziali che costituiscono l’umanità dei valori» (p. 72). L’inversione, insomma, rivolta i valori e li radica nella concreta operazione del valorizzare operata dagli individui (p. 86). L’inversione dei valori è pertanto direttamente connessa alla volontà di potenza – intesa quest’ultima come il fondamento vitale dal quale i valori emergono – e al prospettivismo, nonché alla trasformazione della scienza positivistica in una ‘gaia scienza’[9]: tale scienza rifondata inverte il tradizionale concetto di episteme – in particolare la sua pretesa di disinteresse e purezza –, ma proprio in tale inversione riscopre il valore della scienza medesima. La scienza è gaia poiché è ora riconosciuta nel suo carattere strumentalistico (p. 93), nel suo esser garanzia per la sopravvivenza della specie umana e nel suo rispondere a bisogni “umani, troppo umani”.
Infine, nell’ultimo capitolo, de Feo rifiuta la lettura conservatrice dell’eterno ritorno offerta da Heidegger nel suo testo su Nietzsche del 1961. Agli occhi del giovane de Feo, infatti, Heidegger avrebbe perso di vista il cuore del pensiero e dell’esperienza di vita nietzschiani, ossia lo sforzo di farsi carico integralmente del carattere finito e contraddittorio dell’esistenza, nonché della portata dirompente del negativo stesso. Per Heidegger «il divenire, in tanto ha senso ontologico, in quanto è divenuto» (p. 126): il senso dell’essere celato al fondo del pensiero nietzschiano sarebbe dunque rinvenibile nel passato, nell’essere in quanto essere stato. L’eterno riorno è invece per de Feo la forma temporale della contraddizione e della dialettica, poiché esso descrive il continuo ripetersi dell’inversione, della tensione contraddittoria che unisce e separa gli elementi finiti. Il futuro, come promessa di infinite possibilità esistenziali, è invece la dimensione temporale che per lo studioso barletta più si addice all’eterno ritorno: «l’eterno ritorno è l’affermazione dell’infinita problematicità del finito, l’indefinibile contraddittorietà delle possibilità succedentisi e alternantisi senza un fine o uno scopo precostituiti» (p. 129).
In conclusione, con il suo testo del 1965 de Feo evidenza il carattere rivoluzionario del pensiero nietzschiano, della sua critica della società, del suo disprezzo del lavoro (p. 69, nota)[10], della risignificazione non dogmatica della dialettica – che de Feo ottiene mediante l’Auseinandersetzung tra Marx e Nietzsche. Ciò non toglie che de Feo riconosca i limiti del pensiero di Nietzsche, consistenti nella solitudine esistenziale e nella scelta dell’isolamento, da cui dipendono, agli occhi dello studioso, tanto i fraintendimenti che il pensiero nietzschiano a subito. Tra i suoi contemporanei e tra i posteri (p. 3), quanto l’incapacità di Nietzsche di comprendere i movimenti democratici e socialisti, che sono per lui solo «anonimia, dispersione, banalizzazione» (p. 121, nota)[11].
[1] Per una ricostruzione della vicenda biografica e filosofica di de Feo, si veda il saggio di O. Marzocca, L’esperienza di Nicola Massimo de Feo. Elementi per una ricostruzione, in AAVV, La solitudine non è una festa. Il pensiero militante di Nicola Massimo de Feo, a cura di O. Marzocca, Mimesis, Milano 2006, pp. 25-43.
[2] Un interesse, quello di de Feo, per la società e per la politica europee e in particolare tedesche dagli anni Settanta del XIX secolo sino agli anni Trenta del XX, che rappresenta una costante nell’ambito della sua ricerca (si vedano tra gli altri i seguenti saggi: N. M. de Feo, Autonomia operaia e militarizzazione dello stato dalla Repubblica di Weimar al Terzo Reich, in AAVV, La solitudine non è una festa, cit., pp. 11-23; ID, Malattia e memoria in Nietzsche, in ID, Ragione e rivolta. Saggi e interventi 1962-2002, a cura di O. Marzocca, Mimesis, Milano 2005, pp. 209-227; ID, Analisi e critica dell’alienazione in Heidegger, ivi, pp. 229-240; ID, Heidegger e l’autonomia del negativo, ivi, pp. 249-258; ID, Nietzsche e il comunismo, ivi, pp. 271-274; ID, Razionalizzazione, appropriazione e sovversione in Weber, Sombart e Marx. Una introduzione, ivi, p. 313-331). L’indagine di de Feo sui decenni a cavallo del 1900 sorge dall’esigenza di ricostruire la «genealogia storica della nostra soggettività» (R. Nigro, Un nietzschianesimo senza riserve. L’opera di Nicola Massimo de Feo tra Marx e Heidegger, in AAVV, La solitudine non è una festa, cit., pp. 71-86, p. 73). La continuità storica tra il presente e i decenni analizzati da de Feo viene esplicitata dall’autore ad esempio in N. M. de Feo, Razionalizzazione, appropriazione e sovversione in Weber, Sombart e Marx. Una introduzione, cit., p. 330.
[3] Per de Feo, infatti, la malattia di Nietzsche non è risolvibile in una mera condizione fisica, ma è piuttosto il risultato dell’operazione, continuamente reiterata, di acquisizione ed estremizzazione della contraddizione (p. 136). Nel 1973 de Feo nota invece come le interpretazioni della malattia nietzschiana celino la matrice storico-sociale della malattia stessa (N. M. de Feo, Malattia e memoria in Nietzsche, cit., p. 209, nota 3). De Feo interpreta in termini affini anche la malattia di Max Weber (N. M. de Feo, Razionalizzazione, appropriazione e sovversione in Weber, Sombart e Marx. Una introduzione, cit., p. 327).
Si è tentati di sostenere che il superamento del metodo storico-filologico genealogico di Nietzsche in direzione del metodo che de Feo definisce genetico (ad esempio pp. 15, 19, 23, 43, 71, 134) consista proprio in questa presa in carico della contraddizione nella propria esistenza, sino a collocarsi nel cuore del processo contraddittorio che giace sotto la configurazione presente del reale e che la movimenta.
[4] Nel 1974 (N. M. de Feo, Analisi e critica dell’alienazione in Heidegger, cit., pp. 230-232) de Feo nota come l’analitica esistenziale heideggeriana reifichi la condizione di insensatezza e di alienazione dell’uomo contemporaneo, di fatto giustificandola (ivi, p 239-240).
[5] A tal proposito, nelle ricerche sviluppate a partire dalla fine degli anni Sessanta sulla storia delle crisi economiche susseguitesi in Europa – e in particolare in Germania – fra gli anni Settanta del XIX secolo e la grande crisi del ’29, individua l’efficacia politica e ideologica della dialettica hegeliana, in cui il negativo è subordinato all’Aufhebung, ben oltre la funzione di organo teorico «mediazione astratta» (N. M. de Feo, Heidegger e l’autonomia del negativo, cit., p. 252), subordinato alla sussunzione del reale nel sistema filosofico. Per de Feo la sussunzione del negativo si concretizza in una strategia politica e ideologica di neutralizzazione del conflitto e del negativo stesso; l’autore individua nell’opera di razionalizzazione e automazione della produzione e massificazione del lavoro, messa in atto dal capitale tra il XIX e il XX secolo, il più eclatante esempio dell’uso ‘sintetico’ del negativo. Proprio Marx, peraltro, viene impiegato da parte del pensiero borghese dell’epoca come strumento concettuale per mettere in atto tale operazione e integrare elementi della critica marxiana nella socialdemocrazia (sulla «riduzione del marxismo a ideologia tecnocratica», N. M. de Feo, Analisi e critica dell’alienazione in Heidegger, cit., p. 239, nota 29; su questa separazione del Marx scienziato e del Marx rivoluzionario si veda R. Nigro, Un nietzschianesimo senza riserve, cit., pp. 82-83, nota 28; sul processo di razionalizzazione durante la Repubblica di Weimar, si veda il saggio di N. M. de Feo, Autonomia operaia e militarizzazione dello Stato dalla Repubblica di Weimar al Terzo Reich, cit., pp. 11-23).
Mediante tale neutralizzazione, il negativo cessa di far pressione sulle contraddizioni latenti, rivelandosi piuttosto funzionale allo sviluppo, in una sorta di «uso borghese della crisi del capitalismo» (N. M. de Feo, Analisi e critica dell’alienazione in Heidegger, pp. 229-240, p. 238 e p. 232; a tal proposito si veda anche R. Nigro, Un nietzschianesimo senza riserve, cit., p. 73 e pp. 76-77). A livello storico e ideologico, la teorizzazione del capitale supera la concezione puramente ‘negativa’ della crisi come stallo dello sviluppo; piuttosto, la crisi viene riconosciuta quale ineluttabile occasione di sviluppo, di razionalizzazione e di sbrigliamento del capitalismo mondiale, e in tal senso sovrapposta allo sviluppo stesso (N. M. de Feo, Heidegger e l’autonomia del negativo, cit., pp. 250-251; ID, Razionalizzazione, appropriazione e sovversione in Weber, Sombart e Marx. Una introduzione, cit., pp. 318-321).
In questa sede, vale la pena di notare che de Feo impiega Nietzsche nel corso della sua riflessione matura proprio a causa del e in opposizione al riassorbimento del pensiero marxiano nello sforzo di razionalizzazione del capitale (N. M. de Feo, Nietzsche e il comunismo, cit., pp. 271-274 e ID, Razionalizzazione, appropriazione e sovversione in Weber, Sombart e Marx. Una introduzione, cit., pp. 314-316; a tal proposito si veda la Presentazione del testo del 1965, pp. XXV-XXVI).
[6] N. M. de Feo, Heidegger e l’autonomia del negativo, cit., pp. 249-258, pp. 249-250.
[7] Nell’ambito del saggio del 1979 appena richiamato, de Feo chiarisce il significato del ‘negativo’, su cui il ‘pensiero negativo’ indugia. Scrive l’autore, in riferimento alla possibilità di annullare il riassorbimento borghese del negativo: «[muoviamo dall’heideggeriana Seinsfrage] non solo per recuperare un fecondo terreno d’analisi delle forme specifiche della crisi, al livello delle formazioni logico-teoriche e ideologiche del ‘pensiero calcolatorio’ e della ‘razionalità pianificatrice’ della Kultur borghese-riformista guglielmino-weimarese (da Weber a Scheler a Mannheim), ma anche per comprendere, attraverso la critica dell’ideologia e della metafisica del cosiddetto ‘pensiero negativo’, da Kierkegaard a Nietzsche, Freud, Dostoevskij, Kafka, Heidegger, ecc., se e sino a che punto l’emergenza del negativo – come crisi, crollo, malattia, decadenza, follia, disperazione, esclusione, ecc. – non opera più come ambito di compensazione-ristrutturazione-razionalizzazione delle contraddizioni e dei conflitti esistenti, parallelamente, anche se consegno ideologico opposto, alla secolare funzione di ‘stimolo’ che il movimento operaio professionale, sindacale e socialdemocratico ha esercitato sullo sviluppo economico del capitalismo moderno» (N. M. de Feo, Heidegger e l’autonomia del negativo, cit., p. 249).
[8] «La cosa per te migliore ti è del tutto impossibile: non essere nato, non essere, non essere nulla. La seconda cosa migliore, dopo questa irraggiungibile, è di morire subito» (pp. 39-40; Cfr. Sofocle, Edipo a Colono, cura di G. Avezzù e G. Guidorizzi, traduzione di G. Cerri, Mondadori, Milano 2008, vv. 1224-1227: «Non esser nati vince ogni guadagno;/ ma una volta venuti alla luce/ tornare presto là donde si venne/ è senz’altro il rimedio migliore»).
[9] La gaia scienza costituisce già di per sé un’unità dinamica che unisce «i due termini opposti dell’aporia fondamentale della finitudine, il sì e il no, la guarigione e la malattia, la gioia e la scienza» (p. 88).
[10] A tal proposito si veda anche N. M. de Feo, Malattia e memoria in Nietzsche, cit., pp. 222-225, dove però l’autore sottolinea come Nietzsche non radichi in senso storico-sociale la critica del lavoro.
[11] Tuttavia, come chiarito dalla Presentazione (p. XXXVI), le riserve che ancora de Feo mostra nei confronti del pensiero nietzschiano nel 1965 tendono a cadere man mano che lo studioso si avvicina all’operaismo e si dedica allo studio del socialismo nietzschiano, emerso nel contesto della Germania bismarckiano-guglielmina. Ancora nel 1973, de Feo sottolinea come il pensiero nietzschiano sia incapace di radicare in senso storico-sociale la sua critica ideologica della società borghese (N. M. de Feo, Malattia e memoria in Nietzsche, cit., p. 225). Diverso è il giudizio espresso dall’autore nel 1984: «Se il comunismo, come dice Marx, non è un ideale, né un valore, ma il movimento reale che distrugge lo stato di cose presente, la critica anticristiana, antiborghese e antisocialdemocratica di Nietzsche è già questo movimento, che distrugge e libera nello stesso tempo» (N. M. de Feo, Nietzsche e il comunismo, cit., p. 273).