«Io lo chiamavo Massimo»

Antonio Negri, 02/04/2020

Materiale datato: 01/01/2005

Riportiamo qui la prefazione di Toni Negri alla raccolta di «scritti minori» di de Feo Ragione e rivolta, curata da Ottavio Marzocca e pubblicata nel 2006 dalla casa editrice Mimesis. Ringraziamo Toni per il sostegno al progetto e per aver concesso la ripubblicazione del breve ma intenso ricordo del suo «amico e fratello».

K. S. Malevič, Cavalleria rossa (1932)
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A. Negri, Prefazione a N. M. de Feo (a cura di O. Marzocca), Ragione e rivolta. Saggi e interventi 1962-2002, Mimesis, Milano 2005, pp. 7-8.

Io lo chiamavo Massimo. Non so perché il suo nome si fosse per me così contratto su “massimo”: noi veneti, quando eravamo giovani assistenti universitari, chiamavamo “massimo” quello che tra noi era il più intelligente ed il più radicale. Nicola Massimo de Feo fu il più intelligente ed il più radicale della generazione che visse fra gli anni ’60 e i ’90. Ma che cosa significa essere il più radicale? Significa porre che il pensiero vale come prassi e che la prassi può ritenersi efficace solo quando essa non media ma rompe ed incalza il potere. De Feo usò questa convinzione come grimaldello per aprire campi segreti e sconosciuti della conoscenza; de Feo usò questa verità della conoscenza storica e rivoluzionaria come favola pedagogica che portò generazioni di studenti baresi al sapere ed alla militanza.

Qual era la filosofia di Massimo de Feo? Era lo scarto che la passione per il marxismo libertario e per l’anarchismo comunista può imporre all’ontologia heideggeriana: il suo rovesciamento, la sua sovversione. De Feo ha attraversato l’heideggerismo come pochi in Italia hanno fatto: il magistrale articolo del ’62 sull’ontologia di Heidegger[1] e le Introduzioni[2] alle due edizioni di Fenomenologia e teologia contenute in questa raccolta ne danno testimonianza. Attraverso lo scarto sull’heideggerismo Nicola Massimo de Feo è il primo autore del “pensiero negativo” e della Krisis in Italia. La sua opzione, diversamente da quelli che lo seguirono su questo terreno, fu coerentemente rivoluzionaria. È così che, da principio, dagli anni ’60, de Feo anticipa le progressioni del pensiero critico oltre le strettoie della catastrofe moderna (dell’ontologia di Heidegger e di tutti i suoi simili). Contemporaneamente de Feo legge Max Weber e la grande sociologia tedesca degli anni del Reich, ricostruendone genesi e destino. Anche in questo caso per evidenziare l’inconclusività (e spesso la mistificazione) dell’Entzauberung sociologica — è un mondo di mostri, di confusione di valori e di bisogni, quello che la “sociologia della comprensione” indaga, sempre sotto il dominio e in funzione del Reich. Non basta riconoscerlo per considerarsi soddisfatti — oppure, insoddisfatti, esplorare vie di fuga nel misticismo o le delizie dell’“eterno ritorno”. Questo avviene a molti contemporanei di de Feo, ma di questa falsificazione pochi avranno memoria. Di contro, de Feo ci dice che la crisi è rottura, antagonismo, indignazione, sofferenza, ribellione.

Riportiamo dunque questa crisi alle dimensioni concrete del processo storico, cerchiamo dietro la noiosa voluttà classificatoria e neutralizzante dei filosofi e dei sociologi (che presto diventa reazionaria) le forze in campo. Forze del negativo, ragione sovversiva, resistenza di classe. All’appello teorico segue la ricerca, concreta, minuta, essa stessa “per sé” sovversiva. In de Feo l’anarchismo diventa dignitoso, perché non è anarchismo ma autonomia di classe. Pochi tedeschi hanno saputo descrivere Vienna, Amburgo o Berlino, per quanto riguarda la resistenza e la rivolta delle classi subalterne negli anni che precedettero il nazismo, meglio di quanto abbia fatto il barese de Feo. Lo stile dei suoi scritti è degno del grande realismo rivoluzionario degli anni ’20. La tensione del suo raccontare è adeguata al ritmo del teatro brechtiano: i colori della lotta e la soggettivazione del pensiero traversano, nei suoi scritti, intera la stagione rivoluzionaria degli anni ’20.

Da dove è caduto questo meteorite? Pensare che abbia vissuto decenni nell’università di Bari, è stato per me sempre un busillis. Eppure alcuni grandi anarco-comunisti tedeschi e no (da Hoeltz a Plättner, da Reinsdorf a Most, da Peuckert a Roller — e poi i famosi, per altri versi, Nečeav e Whilelm Reich) sembrano essere stati i suoi migliori amici: nella realtà, non nella letteratura scientifica. Di qui mi chiedo talvolta, fantasticando, se egli la sera non scendesse negli anfratti del porto di Bari per riconoscere immagini di miseria e di sovversione come in una ottocentesca Moabit o nella contemporanea Kreuzberg. Sarebbe così bello se i professori delle grandi università italiane avessero avuto, in qualche momento della loro vita, la medesima rivoltosa compassione a quella scoperta della povertà, della resistenza e della ribellione che fu così profonda in de Feo! Bandiera nera sull’Università di Bari! Comunque de Feo vince: lui vince perché i suoi allievi sono tanti, distribuiti su generazioni, viventi nei movimenti. Consiglio accademico: la prossima volta che sarà annunciato un Nicola Massimo de Feo bisognerà mandare un serpente nella sua culla intellettuale, perché sicuramente creerà altri momenti di rivolta e di riflessione critico-rivoluzionaria. Forse Nicola Massimo de Feo è un ultimo esemplare di una razza di giganti che sta per scomparire: il controllo postmoderno vorrebbe chiuderne la possibilità di riproduzione...

Per questo è importante rileggere gli scritti di de Feo e ringraziare i suoi compagni che li hanno messi insieme. Evidentemente, quel che ha lasciato Massimo non si risolve in un rivolo ma può diventar torrente: è quello che io sento rileggendo questi scritti. Soprattutto, è quello che sento ripensando alle decine di giovani studiosi che de Feo aveva aiutato a germogliare, meglio a esplodere: ognuno sovversivo, ognuno libero, questo era il suo marchio di fabbrica, e poi quel che pensavano andava in tutte le direzioni, come esige un pensiero sovversivo e libero. Così mi onoro di essere stato amico e fratello di Massimo, perché non ci fu mai nulla di più aperto di un’amicizia che pretendeva libertà, e di una solidarietà che si voleva comunista.


[1] N. M. de Feo, Il principio di identità e il tempo nell’ontologia di Heidegger, “Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia — Università degli Studi di Bari”, vol. VIII, 1962, pp. 223-267 [NdC].

[2] La prima, Analisi e critica dell’alienazione in Heidegger, in M. Heidegger (a cura e tr. di de Feo), Fenomenologia e teologia, La Nuova Italia, Firenze 1974, pp. V-XXV; la seconda, Il sacro e il potere in Heidegger, in M. Heidegger (a cura e tr. di de Feo), Fenomenologia e teologia, La Nuova Italia, Firenze 1994, pp. VII-XXXVI [NdC].

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