Nicola Massimo de Feo, 26/10/2023
Materiale datato: 15/04/1965
Nicola Massimo de Feo, La rivoluzione marxista, «Il nuovo Barletta», aprile 1965, p. 3.
Vogliamo fermare la nostra attenzione su di una caratteristica della nostra condizione e consuetudine sociale: noi ci estraniamo nella misura in cui ci avviciniamo gli uni agli altri. L'estraneità aumenta, nella nostra vita quotidiana, quanto più si complica e si intensifica il contatto con gli altri, nel lavoro, nei ritrovi, sulla strada, nella famiglia, nell'amicizia, nell'amore.
Il processo di socializzazione a cui oggi è sottoposta la nostra vita individuale ed in cui si organizzano e si disciplinano tutti i progetti e le iniziative della nostra esistenza, ha posto sempre più in primo piano, nella considerazione dell'uomo comune ed in quella dell'osservatore scientifico, l'importanza ed il significato dei fenomeni di alienazione individuali e sociali. Non intendiamo occuparci ora di questo problema, il cui riferimento ci serve solo come occasione per analizzare il significato che ha per noi oggi uno dei valori cardini della prassi scientifica ed esistenziale del marxismo, quello di rivoluzione. Quale relazione intercorre tra l'estraneità in cui avviene il processo di socializzazione nella nostra società borghese e il valore della rivoluzione marxista?
Noi riteniamo che il processo di socializzazione attuale porta necessariamente all'estraniazione degli individui, non perché la socializzazione in sé stessa è un processo alienante, ma in quanto essa avviene in condizioni inadeguate, nelle condizioni di una società strutturata ancora e soltanto per i bisogni di una vita individualizzata, che non ha ancora avvertita l'esigenza di un controllo e di una verifica collettiva della propria esistenza e delle proprie possibilità. Per quanto la cultura conservatrice e l'etica tradizionale, quand'anche non assecondino l'attuale processo di socializzazione alienante, ritenendolo indispensabile per la naturale evoluzione della società borghese, cercano in tutti i modi di ostacolare una strutturazione socialistica della nostra società, sostenuti dalla constatazione che ogni forma di socializzazione, comunque essa avvenga oggi, porta necessariamente al tramonto di ogni forma di vita personale, cioè all'alienazione del singolo.
Noi pensiamo invece che il problema della socializzazione oggi si pone essenzialmente come problema di tecnica di socializzazione, un problema cioè di scelta di mezzi e di scopi, un problema di valutazione dello scopo della socializzazione stessa, e quindi dei suoi limiti e delle sue dimensioni, che ogni individuo, ogni gruppo sociale e classe devono compiere responsabilmente sui modi e sui tempi con cui la socializzazione deve avvenire.
Ma nella nostra società di oggi sono già poste, al di fuori e indipendente dalla volontà e dal consenso e dagli interessi degli individui, dei gruppi e delle classi, delle condizioni che rendono impossibile realizzare una vita sociale non alienata, condizioni economiche, politiche ma anche culturali e ideologiche, condizioni che rendono sin'anche impossibile assumere da parte di ognuno una posizione critica rispetto al processo della socializzazione – e quando parliamo di posizione critica non intendiamo riferirci alle posizioni teoriche che troppo facilmente assumono i cosiddetti idealisti disgustati, ma all'impegno di un pensiero che sia capaci di mutare il corso dei fatti.
Noi oggi siamo costretti a subire la vita sociale, il contatto e la comunione con gli altri. Noi subiamo lo sviluppo della nostra personalità, la quale è costretta a vivere ed a produrre con mezzi, strumenti, con direzioni e scopi molto spesso estranei a noi stessi, per cui il massimo successo della nostra vita individuale e della sua n natura sociale implica il massimo avvilimento e l'indispensabile involuzione dei suoi reali bisogni. Il contatto con i nostri simili, la integrazione dei nostri con il loro interessi e bisogni, noi li paghiamo con la rinuncia a noi stessi, con la rinuncia al diritto della «coscienza», che per noi non è una «proprietà» ma uno stato, una condizione sempre provvisoria e appunto perciò indispensabile ad indirizzare e controllare il rapporto con gli altri.
Per porre fine, almeno provvisoriamente, a questa condizione di passività e di dipendenza, noi riteniamo indispensabile e possibile oggi «trasformare» le condizioni economiche, politiche, sociali e culturali in cui la nostra vita è costretta a svolgersi, in modo da poter controllare e dirigere attivamente la nostra socializzazione, senza più doverla subire.
Una socializzazione attiva si identifica con lo sviluppo razionale del singolo nella e per la società sua. L'individuo non può svilupparsi, cioè non può produrre, senza trovarsi in un determinato rapporto sociale che condiziona la sua produttività, offrendogli o negandogli i mezzi della produzione, senza esistere cioè in ciò che comunemente si chiama «rapporto di produzione». La condizione sociale dell'uomo, cioè tale rapporto di produzione, determina lo sviluppo della vita del singolo, in quanto offre i mezzi e, molte volte, anche gli scopi della sua attività e questo in ogni forma e tipo di società, borghese o socialista. Affinché il condizionamento sociale, che si accentua e si complica quanto più si intensifica la socializzazione – come accade oggi –, non sia subito passivamente, è necessario che tutti gli individui, come gruppi e come classi, siano padroni, cioè attori e controllori di tale condizionamento.
Nei condizionamenti sociali l'individuo trova e coglie i mezzi della sua produzione, come anche gli scopi. Solo quando l'individuo è proprietario di questi mezzi e scopi, egli può dirigere attivamente e razionalmente la propria esistenza personale, riconoscendo negli «altri» il mezzo per svolgere la propria produttività e facendo della propria produzione il mezzo per la produzione degli altri. Questo è lo scopo della rivoluzione marxista, la quale realizza la trasformazione dei rapporti di produzione esistenti nella società borghese, nella quale i produttori non hanno la proprietà dei mezzi della produzione e sono legati ai proprietari di tali mezzi dall'avvilente rapporto salariale.
I mezzi della produzione sono tutto ciò che rende possibile lo sviluppo e la soddisfazione dei bisogni umani, tutto ciò che rende possibile il lavoro. Mezzo di produzione è un oggetto, una macchina, ma anche un valore, un'idea, una cultura, un sentimento, un'emozione. Abolire la proprietà privata dei mezzi di produzione vuol dire rendere gli uomini produttori, cioè, i lavoratori, padroni dei mezzi necessari alla propria esistenza, sia nell'ambito della vita economica, come in quello della vita morale, artistica e scientifica. Nello stesso tempo, tale abolizione educa le coscienze alla convinzione razionale che ogni cosa, ogni soggetto, macchina, idea, sentimento, non è in sé stessa una «proprietà», qualcosa di statico, di cui è sufficiente avere la «proprietà» o il «possesso» perché se ne possa realizzare il contenuto. Ogni cosa è infatti strumento della produzione e dell'attività dell'uomo. Non v'è nessun oggetto che valga solo per sé; la giustificazione delle cose consiste nella loro possibilità di accrescere, sviluppare e soddisfare la produttività dell'uomo. L'uomo stesso si modifica attraverso questo continuo processo di produzione e di trasformazione delle cose.
Ma affinché noi realizziamo razionalmente la nostra natura produttiva, è indispensabile che rimuoviamo la nostra passività sociale. La nostra rivoluzione consiste nella graduale appropriazione che noi compiamo della nostra natura produttiva, nella graduale e continua liberazione dalla soggezione ai proprietari dei mezzi della nostra produzione; è nella nostra capacità di assoggettare sempre più la nostra esistenza. In questo modo la produzione umana umanizza la natura e, nello stesso tempo, naturalizza l'uomo. Le macchine, le idee divengono strumenti dell'azione umana; l'azione umana, realizzata nel prodotto, diventa mezzo di nuova fase del processo produttivo. Realizzandoci nel nostro prodotto, noi diventiamo natura, oggetto, cosa, per poi diventare uomini quando siamo immessi, come mezzi in una nuova produzione. In questo modo l'uomo diviene produttore e prodotto del lavoro; la nascita e la morte dell'uomo singolo sono due momenti del processo produttivo del lavoro umano.
In questa continuità di fasi del processo produttivo, che è individuale, sociale e naturale, si realizza la continuità del valore della rivoluzione marxista.
La rivoluzione è produzione perché modifica le condizioni della realtà, in modo da realizzare in essa le condizioni che rendono possibile la massima produttività del lavoro umano. La rivoluzione marxista non si risolve solo nell'abbattimento della struttura individualistica e privatistica della società borghese, capitalistica o neocapitalistica, ma anche nel porre le condizioni dell'autentica realizzazione della libertà produttiva dell'uomo.
L'uomo è il destino dell'uomo: questa è una proposizione con cui il marxismo indica, controlla e realizza un reale processo storico di sviluppo della società. Solo prendendo coscienza, accettando e realizzando questo significato reale della rivoluzione marxista noi potremo vincere, nella nostra vita quotidiana, l'estraneità e la disperazione con cui viviamo la nostra esistenza.
Particolarmente nella presente condizione della nostra vita sociale le due direzioni in cui abbiamo vista rivolta la rivoluzione marxista sono intimamente legate: è necessario rovesciare la dipendenza dell'uomo rispetto all'uomo, della classe e del gruppo rispetto alla classe ed al gruppo, affinché ogni uomo possa non solo realizzare la propria natura produttiva, ma anche possa trovare il significato umano del suo prodotto e quindi della sua esistenza.