Nicola Massimo de Feo, 05/10/2021
Materiale datato: 18/03/1962
In occasione del XIX Congresso Nazionale di Filosofia (1962), Nicola Massimo de Feo sottolinea l’importanza di un atteggiamento problematico e problematizzante dell’uomo rispetto all’uomo, di un’attitudine questionante che riguardi l’essere umano nella sua essenza e nella sua esistenza all’interno della situazione storica degli anni ’60. Questa esigenza chiarificatrice ha valore ontologico nella misura in cui interroga «ciò che noi siamo ora», ciò che facciamo e ciò che vogliamo; essa è necessaria per una trasformazione dei concetti tradizionali di scienza, filosofia, religione ed esistenza, una trasformazione che rifiuti il «malcostume» del puro pensiero oggettivistico davanti al quale l’essere umano è mero spettatore esterno.
La filosofia sta oggi di fronte alle scienze: questo è il problema a cui noi oggi siamo interessati. Prima di cercare quale significato abbiano per noi oggi la filosofia e le scienze, dobbiamo pregiudizialmente prendere atto di questa situazione problematica in cui noi siamo implicati: noi stiamo in questo interesse. Ma l’interesse comprende la totalità di significato della nostra situazione, di questo nostro modo di essere che è qui in questione. Non possiamo determinare il significato dei due termini della relazione dello “stare di fronte a…” se non chiarifichiamo a noi stessi il luogo, il chi, il perché di questo problema emerso nella situazione storica presente.
Cercare il luogo, il chi, il perché del nostro problema non può non condurci a cercare la natura e l’essenza dell’uomo, cioè a quel problema fondamentale di ogni problema che è il primo problema, il problema della metafisica.
“Dove” infatti scaturisce questa esigenza di chiarificazione, se non nell’ambito essenzialmente problematico di una pura esigenza di chiarificazione? L’esigenza chiarificatrice, nell’attuale situazione culturale, si rivela pertanto costitutiva dell’essenza storica: essa infatti ha posto il nostro problema, essa qualifica la natura del nostro attuale interesse.
“Chi” pone questo problema, “chi” lo riconosce sensato, vero, se non coloro che si riconoscono implicati e coimplicati in questo “stare di fronte a…”, cioè i filosofi e gli scienziati? Che siano soltanto i filosofi e gli scienziati a discutere di questo problema è essenziale per la significatività del problema stesso.
Ma “perché” c’è ora questo problema? Lo avranno chiesto tutti coloro, filosofi e scienziati, che hanno dato e hanno cercato di dare una interpretazione, una risposta al nostro problema. Ma il perché di questo problema non può essere cercato se non nel problema stesso. Il nostro problema esprime una situazione e noi siamo in questa situazione, senza conoscerla, senza comprenderla. Qualcuno perciò forse si sarà sentito oppresso, limitato ingiustificatamente da questo problema, che da certi punti di vista acritici della filosofia e della scienza potrebbe sembrare un non problema, forse solo un avvenimento occasionale nella storia della cultura contemporanea. Da costoro perciò il nostro problema può essere stato del tutto ignorato. Ma è nel perché, nella ragione di questo nostro problematizzare che potremmo cercare la verifica del senso o del non senso di questo problema, non nell’ambito di una preliminare definizione dogmatica di ciò che potrebbe essere la filosofia o la scienza.
Risolvere il nostro problema in tal modo è ridurlo a ipotesi, negandolo come problema, disconoscendo il significato metafisico del nostro attuale problematizzare. Chiederci “perché” ci siamo posti in questo problema, perché c’è questo nostro interesse, significa dover rendere conto di ciò che noi siamo ora, di ciò che facciamo, di ciò che vogliamo. Oggi dobbiamo verificare noi stessi, come noi stiamo qui, tra di noi. Per questo il nostro problema ha significato ontologico. Noi parliamo di noi. E quello che noi siamo è la nostra umanità, l’essere filosofi e scienziati che parlano di se stessi. Siamo ancora tuttavia nell’oscurità della nostra situazione, non sappiamo ancora compiutamente che cosa noi siamo. È per questa nostra comprensibilità, nel cui orizzonte ha senso il nostro chiarificare, che il nostro tentativo, il tema di questo Congresso, ci appare a volte assurdo, tanto che spesso si è dimenticato l’oggetto stesso del nostro problema, lo “stare di fronte a…”, dimenticando così la filosofia per la scienza o la scienza per la filosofia. Ma questa dimenticanza non è casuale, né pensiamo sia dovuta “soltanto e sempre” alla MALAFEDE, giacché scaturisce dal significato stesso del problema, del nostro essere problematico, che noi possiamo illuminare, chiarire solo coprendolo, nascondendolo nella sua metafisicità. Poiché il nostro è un problema metafisico. Dimenticare il nostro problema è lo stesso che risolverlo, averlo già compreso. Ma noi siamo qui a discuterne, a difendere le nostre dimenticanze, poiché sappiamo che le nostre soluzioni sono ancora sempre oscure, stiamo cioè per riconoscerle come dimenticanze, implicati come siamo nel nostro interesse, nel nostro bisogno di chiarezza, di comprensione. Noi lottiamo contro la malafede, per l’essere, contro il nulla…come ci hanno insegnato Nietzsche, Kierkegaard, Heidegger. Non c’è malafede nel parlare, nel voler parlare, nel cercare di parlare nascondendo, anche se ciò avvenga in un fondante silenzio, ma nel sottrarsi alla parola, nella negazione della parola. Noi oggi stiamo scegliendo per la parola o per il silenzio.
Potremmo continuare e sempre di nuovo ricominciare a descrivere, a spiegare quello che noi siamo presentemente, ciò che stiamo facendo, come noi siamo. Potremmo sempre di nuovo vedere l’assurdità e l’incommensurabile valore di questo nostro presente stare; ma vogliamo tornare a riprendere dall’inizio il nostro problema e puntualizzare il significato del nostro pensiero. Abbiamo detto infatti che dopo aver chiarito il senso della relazione dello “stare di fronte a…” del nostro problema, avremmo chiarito anche quello della filosofia e delle scienze. Abbiamo alluso all’impossibilità assoluta di darne una definizione, nel che tuttavia appare la possibilità di farne una descrizione, di darne un’interpretazione. Non ci accingiamo pertanto a compiere una deduzione logico-formale per cui, determinato il significato del problema, ne traiamo quelli di filosofia e di scienza. Osserviamo solo che il presente problema, che qui abbiamo cercato di chiarire, di descrivere, è un problema autenticamente filosofico, metafisico abbiamo detto, è il problema stesso della filosofia, è il problema del problema. È nell’ambito di questo atteggiamento che in questo Congresso filosofi e scienziati hanno parlato della scienza e della filosofia. A volte ci è sembrato che la filosofia sia uscita sconfitta, distrutta, rifiutata. Ma anche se ciò è avvenuto, non è stato contro la filosofia, ma per la filosofia. La filosofia oggi, nell’attuale situazione culturale, si è riconosciuta essere un atteggiamento problematico e problematizzante, apertura radicale al possibile, non circoscrivibile a un particolare settore della realtà, non riducibile a particolari costruzioni ideologiche, a dogmatismi sistematici. In questo senso la filosofia è metafisica, in cui il termine “meta-“ non serve a definire un settore determinato di realtà, ma a qualificare esistenzialmente l’essenza problematica di ogni realtà possibile, il suo movimento di trascendenza.
Noi non parliamo della filosofia, ma nella filosofia, nell’atteggiamento dell’interesse costitutivo della chiarificazione. I filosofi e gli scienziati, che in questo Congresso hanno parlato della filosofia e della scienza, lo hanno potuto fare essendo nell’orizzonte di questo atteggiamento, in una fondamentale esigenza di chiarificazione, di comprensione, di verificazione, perché tutti essi sono implicati in quello “stare di fronte a…” in cui ha un senso ogni discorso sulla filosofia e sulla scienza. Forse è anche inesatto parlare di filosofi e di scienziati, giacché nell’impegno in cui ognuno ora si è costituito per la parola della chiarificazione, si è rivelato l’orizzonte della filosofia, nella scienza, per l’esistenza. Nell’ambito di questo orizzonte appare oggi la possibilità di una trasformazione radicale dei concetti tradizionali di filosofia, di scienza, di ragione, di esistenza. Questa trasformazione è in funzione di questa nostra esigenza di chiarificazione, nella cui autenticità storico-esistenziale lo scienziato diviene filosofo, essendo automaticamente scienziato. Solo convenzionalmente possiamo distinguere lo scienziato dal filosofo; in realtà il filosofo che sia solo filosofo è un’astrazione, poiché non è mai esistito anche quando lo si credeva necessario, mentre lo scienziato che sia autenticamente interessato al sapere sarà sempre un filosofo.
Non può avere più senso oggi parlare dell’autonomia della scienza come dell’arte e di qualsiasi altro valore che pretenda porsi e valere come assoluto, se non inserendo questo discorso in quella più ampia operazione di costituzione della scienza e dei valori medesimi, che s’identifica col processo stesso di costituzione della ragione e dell’esistenza. La preoccupazione dell’autonomia è relativa ad una condizione di minoranza razionale che giustifica il timore di preservare, di salvare il dominio di questa o di quella attività, di questo o di quel valore, definendone pertanto la natura, gli strumenti e le operazioni. L’esigenza di una garanzia si converte in una narcisistica dogmatizzazione che mistifica il senso e il valore costitutivi dei valori stessi e della scienza in particolare. Disconoscendone proprio quella natura problematica per cui acquistano senso e razionalità. Nasce così il malcostume della oggettivazione dei valori e delle attività umane che si vanificano, isterilendosi nel vuoto chiacchierare sulla scienza, sulla filosofia, sull’arte ecc. Di questa oggettivazione si nutre la velleità discorsiva del pensiero puro che, nella vuota posizione della possibilità logica, parla della scienza, della filosofia e dell’arte da indefinibili e indeterminati punti di vista, la scelta dei quali è indifferente, insignificante per l’essere dell’uomo. Scienza e filosofia si riducono così ad un insieme di punti di vista, la cui scelta non è una scelta, ma una rinuncia allo scegliere. C’è un nesso indissolubile, logicissimo, tra il malcostume oggettivistico del definire e del rendere autonomo e lo scetticismo relativistico dei dogmatismi ideologici. Ce l’ha mostrato Husserl e lo testimonia la storia della scienza, della filosofia e delle nazioni. D’altra parte il significato storico del discorso sull’autonomia della scienza è relativo proprio alla genesi e alla costituzione della scienza stessa come libera costruzione della possibilità dell’essere dell’uomo. Oggi questo discorso sull’autonomia può interessare la sistemazione e la disciplina degli strumenti e delle tecniche interne alle singole scienze come momento del loro consolidamento, non deve estendersi ad una comprensione totale della scienza in sé e per sé, proprio perché la scienza non è nulla in sé e per sé, ma è un progetto dell’uomo che in essa si viene costruendo razionalmente. La operatività più localizzata, le tecniche più specialistiche di ogni indagine scientifica hanno un loro senso solo nell’ambito di questo progetto, per cui esse possono, ad ogni tempo, essere e valere, oppure annientarsi come scienza e nello stesso tempo come filosofia. Come l’esperienza più autenticamente scientifica e filosofica dello Jaspers nel nostro tempo ha mostrato, la scienza non può non essere implicata in quella lotta per l’essere della nostra esistenza se vuole essere radicalmente e onestamente scienza. In quella esperienza non c’è la crisi della scienza, che è costretta a rinunziare alla sua verità e al suo rigore, ma il riconoscimento della natura essenzialmente problematica di quella verità e di quel rigore, che acquistano senso e valore di umana razionalità solo inserendosi e illuminandosi in quel processo di chiarificazione esistenziale in cui è la “lotta dell’essere contro il nulla”. Questa lotta la scienza non può né deve disconoscerla: essa stessa infatti l’ha posta, in essa è il senso del nostro problema, del nostro stare in questo interesse fondamentale. La possibilità di questo riconoscimento è nel presente stare della filosofia di fronte alle scienze, uno stare che è un essere che qualifica la natura problematica del presente impegno a progettare l’umanità come scienza e la scienza come umanità, impegno che si rivela e si costituisce nella possibilità e nello sforzo presenti dell’attuale chiarificazione.
Nell’ambito di questo atteggiamento e di questo impegno, pensiamo sia da cercare la possibilità di una parola che illumini e schiarisca la nostra presente situazione storica.