Bandiere nere su Kreuzberg

Nicola Massimo de Feo, 29/03/2021

Materiale datato: 01/01/1982

In tutto il suo svolgimento, il pensiero di De Feo è segnato da un serrato confronto con gli eventi storici e il dibattito filosofico della Germania del Novecento. La sua ricerca storica e filosofica parte dall’esperienza rivoluzionaria della Comune di Parigi, per poi concentrarsi sulla storia tedesca dalla fine del XIX secolo sino all’emergere dei nuovi movimenti autonomi che si svilupparono nelle metropoli tedesche negli anni a cavallo tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80. Nello specifico, il lavoro di inchiesta militante di De Feo sulla composizione dei nuovi movimenti fu molto importante perché fu uno dei primi ad analizzare «le nuove tendenze dell’autonomia dopo Stammheim e il 7 aprile, dentro e contro lo stato d’emergenza e il “nuovo fascismo”». Gran parte di questa ricerca confluirà nell’articolo che qui vi riproponiamo, intitolato Bandiere nere su Kreuzberg, pubblicato nel 1982 sulla rivista “Controinformazione”, in cui viene analizzata la repressione e la resistenza del grande movimento di occupazione di case, come espressione dell’illegalità di massa e della riappropriazione sociale diretta, praticata dal proletariato multinazionale del più grande quartiere-ghetto di Berlino ovest. Infine ci preme sottolineare che ad uno sguardo retrospettivo l’articolo è ancora più interessante, in quanto racconta, in presa diretta, il primo movimento autonomo europeo contro i processi di riqualificazione urbana e gentrificazione che nei decenni successivi si estenderanno a tutte le metropoli del continente.

Kreuzberg 1981 (foto di D. Willems).
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N. M. de Feo, Bandiere nere su Kreuzberg, «Controinformazione», 22, 1982, pp. 21-28. Ringraziamo Alessandro Scalondro per la gentile concessione del PDF dell'originale, consultabile in "Scarica l'originale".

La crescita di massa del movimento di occupazione di case, estesosi in particolare nella Rft negli anni 1978‑81, ha toccato a Kreuzberg, il più grosso quartiere‑ghetto di Berlino‑ovest, la soglia oltre la quale la moltiplicazione delle azioni dirette di riappropriazione sociale, praticate da piccoli e grossi gruppi di proletariato sociale (operai, immigrati, disoccupati, studenti, impiegati, prostitute, ecc.), modifica, superandola, la contraddizione maggiore, forse, del movimento degli anni ‘70, da un lato i limiti rivendicativi e autogestionari delle pratiche di autoriduzione (di affitti, prezzi, tariffe) contro l’attacco inflativo‑deflattivo delle politiche economiche di razionalizzazione, dall’altro i limiti resistenziali e giustizialisti delle reazioni terroristiche alla militarizzazione statale. Fermare l’analisi su questa nuova qualità del movimento di Kreuzberg, in particolare dal dicembre ‘80 all’aprile ‘81, dall’inizio della «fine del dialogo» tra occupanti e potere statale, quando il movimento degli occupanti si mobilita sulla lotta dei detenuti politici, deve servire non solo a rimuovere il silenzio di Stato che la nostra stampa, di destra e di sinistra, ha steso sui movimenti di lotta, attenta più che altro a custodire il mito del «modello Germania» per la repressione interna, ma anche ad analizzare le nuove tendenze dell’autonomia di massa dopo Stammheim e il 7 aprile, dentro e contro lo «stato d’emergenza» e il «nuovo fascismo»: sono le tendenze chiaramente emerse nelle lotte dei disoccupati di Napoli, ma che hanno un preciso decorso multinazionale, coinvolgendo proletari periferico‑meridionali con quelli metropolitani, nella saldatura sempre più immediata e cosciente dell’azione di riappropriazione sociale (autoriduzione degli affitti, occupazioni di case, lotte antinucleari) con quella della liberazione politica (contro le carceri speciali, il regime di isolamento‑annientamento dei detenuti politici e i divieti di professione). Tutti questi caratteri del nuovo movimento, che si ritrovano a Napoli, a Belfast, ma anche a El Salvador, a Beirut e nell’Afghanistan ecc., sono presenti a Kreuzberg, materialmente e idealmente.

Qui, nel quartiere proletario più densamente popolato da operai, studenti e stranieri, prevalentemente turchi, il capitale multinazionale, con la mediazione di varie, legali ed illegali organizzazioni fasciste di importazione‑esportazione di manodopera turca, ha dislocato una comunità multinazionale di forza lavoro ghettizzata negli scomparti più occulti e degradati del mercato internazionale del lavoro nero, che a partire dagli anni ‘80 ha sviluppato in Kreuzberg tutti i caratteri del nuovo ghetto industriale per l’economia della crisi, dopo che per tutti gli anni ‘70 si era esaurita la capacità di assorbimento dell’intensa mobilità interna ed esterna della popolazione da parte dei tradizionali quartieri berlinesi dell’emarginazione (Wedding, Gropiusstadt, Trabantenstädten, il Märkische Viertel).

L’esigenza di un governo più articolato ed organizzato dell’intensa mobilità della sovrappopolazione interna ed esterna, divisa e distribuita ai livelli mutevoli dei segmenti di riserva, attuali e potenziali, del lavoro nero e delle ristrutturazioni, per cui il capitale combina emarginazione sociale, repressione politica e integrazione economica, unita alla formazione di un gigantesco trust di interessi speculativi pubblico e privato, ha spostato negli ultimi anni a Kreuzberg l’offerta maggiore di spazi abitativi alla crescente domanda di casa, che impoverisce progressivamente i bassissimi redditi di crescenti gruppi e settori, interni ed esterni, che formano la crescente sovrappopolazione dell’«operaio sociale» di Berlino‑ovest. L’esplosione del ghetto nel movimento di occupazione delle case ha fatto saltare, anche se non ancora del tutto, questo progetto di usare la domanda sociale di casa come strumento di controllo e di speculazione ma, quello che è più importante, ha attaccato direttamente l’economia politica del lavoro nero e della razionalizzazione. Per coglierne tutta la portata, dobbiamo soffermarci brevemente sulla «politica della casa», che il «modello berlinese», combinando assistenzialismo e libero mercato, repressione e tolleranza, ha costruito come supporto di questo complesso sistema di pianificazione del lavoro nero.

«Spazio chiuso», Berlino non ha mercato libero della casa, diviso in due settori, quello delle abitazioni sociali, costruito dopo la guerra (430.000 su un complesso di 1.099.000) e quello delle «case antiche» (500.000, costruite prima della guerra); l’uno e l’altro sono regolati da un sistema di prezzi fissato dal Senato, l’organo politico che controlla il mercato con i piani di risanamento e di modernizzazione, contributi e finanziamenti vari, prezzi degli affitti ecc., che a Kreuzberg, la zona urbana più ricca di vecchi edifici semiabbandonati e vuoti, ha scatenato gli interessi speculativi di vecchi proprietari e di società immobiliari, alla caccia di finanziamenti statali per la modernizzazione e il risanamento, condizioni per restaurare le regole del libero mercato, con la conseguente fortissima lievitazione degli affitti (dal 200 al 500%).

L’aumento dei costi di fabbricazione delle abitazioni «sociali» e, ancora di più, la forte mobilità della popolazione ‑ solo nel ‘77 si sono stabilite a Berlino 69.000 persone provenienti dall’estero e 265.000 dall’interno; prescindendo da 34.000 che non cambiano abitazione, in un solo anno ci sono 300.000 persone in cerca di casa, la metà delle quali trova alloggio nelle nuove abitazioni sociali, e l’altra metà nelle case vecchie ‑ hanno fortemente accentuato le tensioni e i conflitti sulla casa: attualmente, 1.041.100 famiglie dispongono di 973.000 abitazioni, cioè mancano 68.100 case; 51.700 famiglie sono in subaffitto; 4.900 abitazioni sono del tutto inadatte a servire come alloggio; 1.900 abitazioni non hanno cucina o strutture adeguate; 27.000 abitazioni sono vuote, e di queste 9.000 per opere di modernizzazioni; 60.000 famiglie o più devono impiegare più di un terzo del loro basso reddito per pagare l’affitto; il 40% approssimativamente di tutta la popolazione ha bassi redditi, il 15% vive al limite della sopravvivenza e, secondo le statistiche berlinesi, nel ‘78 147.000 famiglie si trovano al di sotto o al livello minimo della sussistenza e 230.000 a basso reddito, mentre l’80% della popolazione impiega il 25% del proprio reddito per pagare l’affitto e i gruppi a reddito più basso ancora di più, cioè il 34% del proprio reddito[1].

Le case vecchie ancora disponibili, o tenute vuote per i programmi di risanamento e modernizzazione delle immobiliari, sono l’unica alternativa reale di spazio abitativo per tutti gli strati della popolazione crescenti a basso reddito, anche se questa riserva, a causa della politica di modernizzazione e del conseguente aumento degli affitti (dal 100% al 200%), tende ad esaurirsi; il sistema delle sovvenzioni statali, anziché incentivare o costringere i proprietari e le immobiliari a risanare le abitazioni ed a controllare gli affitti, come dimostrato dall’Istituto tedesco di statistica, ha prodotto una lievitazione selvaggia del mercato senza produrre neanche il risanamento e la modernizzazione degli alloggi: i programmi di società pubbliche (ZIP o LAMOD), si basano sull’auto‑espulsione degli affittuari al prezzo di 15.000 marchi per ogni famiglia, mentre le immobiliari private utilizzano il denaro pubblico per comprare e rimodernare parzialmente o completamente le vecchie abitazioni in breve tempo, dopo averne cacciati gli inquilini, aumentando gli affitti dal 200% al 500%[2]. La maggior parte delle volte, come ha dimostrato un’accurata indagine di contro‑informazione del «movimento degli occupanti» della Cuvrystrasse, a Schlesischer Tor, dietro la selva intricatissima delle società finanziarie ed edilizie che gestiscono la speculazione di stato sulla casa, si ritrova lo stesso ristrettissimo gruppo di criminali sfruttatori legato al capitale privato ed al potere politico[3].

Il bisogno di case, l’esistenza di spazi abitativi vuoti, di case sfitte e destinate alla distruzione‑ricostruzione‑modernizzazione, secondo la dinamica anticiclica dell’edilizia capitalistica, la requisizione violenta e l’espulsione di interi gruppi sociali, la cancellazione di interi quartieri, la trasformazione forzata dell’affitto in proprietà speculativa, per cementare l’alleanza della grande e piccola speculazione privata, sono le forme esterne che generalizzano, sul piano dell’attacco capitalistico‑statale all’espansione dei bisogni proletari e dei consumi sociali, all’ambiente sociale abitativo, lo scontro di classe che nasce dalla politica economica capitalistica del lavoro nero multinazionale, che si esprime nella pianificazione dei ghetti industriali del proletariato internazionale (Kreuzberg, Wedding, ecc.). Da questa socializzazione dei nuovi livelli dello scontro di classe, è cresciuto il «movimento degli occupanti di case», allo scopo, come tutti riconoscono facilmente, di «realizzare attivamente il diritto alla casa»[4], scatenando l’illegalità di massa - «l’illegalità è il maggiore problema degli occupanti»[5] - contro la criminalizzazione statale - «cellula del terrorismo», secondo il presidente berlinese della polizia Hübner.

Mappa degli immobili occupati a Kreuzberg. Al seguente link si trova una mappa interattiva dove ripercorrere i luoghi delle occupazioni, degli scontri e delle giornate che qui vengono analizzate da de Feo: https://berlin-besetzt.de.

Qui è la specificità di Kreuzberg e del nuovo movimento degli occupanti di case: da un lato nuovo ghetto multinazionale integrato del lavoro nero autogestito, dall’altro guerriglia di massa; un movimento che riproduce l’alternativa tra autogestione della separatezza‑emarginazione delle riserve potenziali di lavoro sociale e sviluppo organizzato di nuove forme di lotta di massa di riappropriazione sociale.

La funzionalità e l’integrazione capitalistica del nuovo ghetto industriale, come potenziale riserva non solo di lavoro dequalificato, a basso costo, disponibile per le esigenze di ristrutturazione produttivistica dei servizi ecc., ma anche di lavoro artigianale‑manifatturiero e cooperativo, risultato di una molteplicità e varietà di iniziative autonome, individuali ed associative, espressioni di esigenze e istanze di «nuovi modi di produrre e di scambiare», di «consumi alternativi» ecc., trovano e riproducono la loro nuova forma di legittimazione nello stesso movimento alternativo, nelle sue forme proprie di organizzazione democratiche (consiliari), di produzione, di scambio e di consumo associativo‑artigianale‑comunitario nelle forme politiche dell’autogestione della «comunità», in cui confluiscono esigenze comunitaristiche e nazionalistiche terzomondiste e di socialismo autogestionario dell’anarchismo ottocentesco (proudhonismo). Il movimento alternativo tende così a diventare, nella strategia flessibile del «modello berlinese» della controguerriglia, «ciclo collaterale del capitale», nell’apparente indipendenza dello sviluppo «ideologico ed economico» delle costruzioni alternative[6]. Contro questa tendenza, tuttavia, il movimento alternativo ha conosciuto nell’’80‑‘81 una reazione di segno opposto, che è alla base della guerriglia di massa del movimento degli occupanti, che nella pratica quotidiana della riappropriazione sociale e politica (nella saldatura di movimento per la casa, lotte dei detenuti politici e dei movimenti antinucleari), ha sviluppato una critica dell’economia politica del lavoro nero, che ha attaccato il progetto capitalistico dell’integrazione del nuovo ghetto industriale e che ha trovato espressione organizzata nella rivista anarchica Radikal, in Radio Utopia, nel Kuckuck (Centro di arte e cultura di Kreuzberg), nella pluralità dei “comitati d’azione” che organizzano le azioni di lotta, le occupazioni ecc.

D’altra parte, l’enorme peso dell’impianto assistenziale della politica statale della casa, seguita dal Senato di Berlino per sviluppare l’integrazione‑gestione capitalistica dei nuovi ghetti industriali (Kreuzberg, Wedding ecc.) degli anni ‘70, accelera la crisi non solo finanziaria ed amministrativa, ma anche sociale e politica dello «stato fiscale»; che provoca da un lato la demolizione di tutte le barriere e meccanismi assistenziali e garantisti dell’integrazione di massa del movimento alternativo, sino alla rottura ed alla «fine del dialogo» tra apparato statale e movimento, alla repressione diretta (secondo il cosiddetto «modello monachese» della controguerriglia)[7] ed alla razionalizzazione produttivistica di mercato del lavoro nero, dall’altro, la presa di coscienza politica del movimento, che attraverso la denuncia e la controinformazione sull’imbroglio speculativo della politica e dei piani di risanamento e modernizzazione, sotto l’illusione di autogestione socialista dei nuovi ghetti industriali, ricompone il quadro reale della strategia neoimperialista reaganiana che a Berlino‑ovest, avamposto della politica USA, cerca lo scontro frontale col «movimento degli occupanti», considerato uno degli anelli più pericolosi della catena mondiale della guerriglia = terrorismo[8].

Dal ghetto all’autonomia è, in breve, la dinamica del movimento che, rompendo con l’azione violenta di riappropriazione la separatezza dell’emarginazione, spezza le catene dell’integrazione di massa che la crisi dello stato fiscale non riesce più a garantire, rovesciando sullo stato la violenza sociale di massa del ghetto. L’occupazione delle case attua il «diritto alla casa» come diritto all’«illegalità di massa» ed alla riappropriazione sociale diretta, mobilitando migliaia e decine di migliaia di proletari sociali, tedeschi, turchi, greci, italiani, giovani, donne, bambini, operai, disoccupati, intellettuali e prostitute, usando la forma sociale del ghetto, la divisione e separazione a gruppi, nuclei ecc., con la tecnica dell’azione di guerriglia, l’«azione decentrata» condotta contemporaneamente in zone, strade, quartieri e edifici diversi della città, della zona e del rione, per occupare, rioccupare e riattivare e ricostruire le case lasciate vuote dalle immobiliari o sgomberate dalla polizia e dai commandos antiguerriglia, addestrati allo sgombero ed alla distruzione sistematica, con la dinamite, murando finestre e porte degli edifici occupati ritenuti più pericolosi perché centri di organizzazione politica del movimento.

Dal dicembre 1980, con la «fine del dialogo» e la crisi del «modello berlinese» d’integrazione del movimento degli occupanti, Kreuzberg è diventata, sino all’aprile 1981, campo di battaglia di una guerriglia di massa che ha coinvolto tutti i quartieri‑ghetto della città, scatenando il potenziale sovversivo di questa riserva di proletariato sociale per il lavoro nero del capitale: la pesante pressione politica USA sul Senato, per misure di repressione sulla saldatura tra movimento sociale di massa e sostenitori della guerriglia urbana (RAF) realizzatasi nel corso delle lotte di occupazioni e di solidarietà con i detenuti politici, ha rafforzato, in realtà, questi legami che, secondo un decorso delle lotte sociali e politiche avutesi contemporaneamente in Germania (Amburgo, Francoforte, Friburgo, Norimberga, Monaco ecc.), ma anche in Italia (Napoli), Spagna, Irlanda ecc., ha prodotto a Kreuzberg una gigantesca diffusività di massa, in un proletariato multinazionale che la politica capitalistica del ghetto e del lavoro nero ha dislocato al di fuori e contro il territorio della legalità e dello stato, che ha trovato, tra le sue manifestazioni molteplici, alcune più significative anche per l’«opinione pubblica» dei mass‑media: le prostitute della Potsdamer‑strasse occupano un grande edificio, usandolo come asilo per i figli delle prostitute in galera, coprendolo di striscioni e scritte di solidarietà col movimento di lotta delle prostitute detenute e col movimento dei detenuti politici della RAF che nel carcere di Moabit praticano lo sciopero della fame; l’occupazione di alcune chiese di Berlino (Marheineke, ed altre), per gli stessi obiettivi politici.

Lo smantellamento della politica assistenziale della casa, attraverso i piani pubblici e privati di «risanamento e modernizzazione» delle grandi immobiliari, rivela sempre più chiaramente gli obiettivi reali dell’economia politica del lavoro nero: integrare nel ghetto modernizzato e risanato con i contributi finanziari statali - secondo l’ideologia del socialismo autogestionario del progetto «Neue Heimat», che agisce in particolare nell’orrenda edilizia popolare‑carceraria che sta sorgendo a Kottbusser Tor, il quartiere forse più sovversivo di Kreuzberg - il proletariato del ghetto potenzialmente disponibile a diventare esercito di riserva del capitale, forza‑lavoro dequalificata per le esigenze del lavoro nero delle fabbriche e dei servizi, e/o come manovalanza per l’attività di spionaggio e la criminalità dell’organizzazione fascista dei «lupi grigi»[9] - e, contemporaneamente, distruggendo, attraverso i mille canali della criminalizzazione (il carcere, la droga, la prostituzione, il terrorismo, l’ospedale psichiatrico ecc.), quei settori e forze del proletariato non inseribili e non utilizzabili su nessun piano o segmento potenziali del mercato del lavoro. La specificità, o novità del nuovo ghetto industriale sta proprio in questa funzione selettiva, di integrazione e di distruzione di massa della sovrappopolazione, che i moderni pianificatori del territorio urbano hanno appreso, raffinandola tecnicamente, dal nazismo[10]. Le segmentazioni‑separazioni dell’operaio sociale e del lavoro diviso si oggettivano nella separazione‑emarginazione‑frantumazione del territorio suburbano in quartieri, zone, piazze, strade, settori, edifici isolati e dispersi e/o addossati in agglomerati parossistici, come bracci di carceri speciali, organizzati a scatole chiuse, a schiere seriali, per spezzare i nessi delle comunicazioni sociali e dell’identità soggettiva, desensorializzando i dispersi spazi mentali: questo processo si ritrova a Kreuzberg in modo speculare, dove la delimitazione dei confini della legalità di stato e dell’illegalità sociale di massa, dell’integrazione sociale ed economica e dell’emarginazione, dell’inerzia e della sovversione non è mai nettamente delineata, ma si muove in modo articolato, secondo la discontinuità magmatica del movimento di guerriglia e di controguerriglia di massa, che attraversa le piazze, le strade, le case e le porte del proletariato sociale. Ma qui, dove più pesante è l’attacco distruttivo dello stato, più aggressiva e diffusa è diventata l’azione del movimento: bandiere nere con la stella rossa ricoprono gli edifici occupati, un tempo sontuosi, ora fatiscenti, strappati alla vecchia borghesia proprietaria ed alle immobiliari private e pubbliche dello stato espropriatore, segnando, con i simboli materiali di una anarchia senza ideologia e tutta risolta nell’azione autonoma di massa, i confini mobili del contropotere di massa e della riappropriazione proletaria, nelle parole d’ordine scritte a spray nero, a caratteri cubitali, sulle pareti e lungo il «muro», su cui è disteso il confine di Kreuzeberg con Berlino‑est: «Vogliamo tutto!», «Il potere a nessuno!», «Siamo tutti terroristi!», «La rivoluzione non si fa condannare!», «Libertà per la RAF!», «Libertà per Astrid Proll!», «Michael Knoll assassinato!», «Libertà per le donne detenute!», ecc., segnando, tra Luckauerstrasse,Oranienplatz, Waldemarstrasse e Dresderstrasse, il terreno degli scontri di piazza e delle azioni di guerriglia urbana che dal 1° maggio 1980 e in particolare dal 12 dicembre ‘80 sino ad aprile‑maggio 1981 si sono sviluppati con maggiore intensità e frequenza. Drappi e bandiere nere e rosse, ta‑tze‑bao affissi alle finestre e alle pareti degli edifici occupati nelle strade, quartieri e piazze desolate dei centri più decisamente popolari di Kreuzberg, tra Schlesischer Tor, Kottbusser Tor, Hallesches Tor ecc., spiegano motivi, storia e prospettive delle occupazioni delle rispettive case, denunciando e smascherando spie e agenti delle immobiliari infiltrati nelle case, azioni criminali di poliziotti e fascisti dei «lupi grigi», promuovendo e stimolando la solidarietà militante e la collaborazione attiva dei proletari ad estendere e rafforzare le occupazioni, a rioccupare gli edifici sgomberati dalla polizia, sollecitando l’iniziativa, il dibattito, le feste di massa, i progetti di uso alternativo delle strutture occupate (case, fabbriche ecc.), il collegamento con altri movimenti di lotta (delle donne, dei detenuti ecc.). A queste iniziative, così come all’organizzazione più complessa del movimento, alla formazione delle rivendicazioni, delle richieste e delle azioni, si dedicano sistematicamente le strutture di base del movimento, i «consigli» degli occupanti, degli affittuari, di strada, di edificio ecc. estesi e ramificati nei vari gruppi sociali e professionali del territorio, e i «comitati d’azione», che organizzano le strutture e le iniziative politiche del movimento, in cui ha un ruolo centrale il Kuckuck‑Rat, il consiglio che organizza e gestisce il Centro di arte e cultura di Kreuzberg, costituito nell’agosto 1980 con l’occupazione di un grosso edificio di 3.000 mq. ad Anhalterstrasse, diventato il laboratorio più attivo della controcultura e del contropotere del movimento (teatro, musica, controinformazione, artigianato, officine ecc.).

La crescita politica del movimento, particolarmente intensa dal 1° maggio 1980 (duri scontri con la polizia durante una manifestazione‑festa popolare sulla Oranienplatz), subisce una forte accelerazione collegandosi ed estendendosi alle lotte dei detenuti politici (RAF), che da novembre 1980 nel carcere di Moabit, ma anche ad Amburgo e in altre carceri tedesche, così come in Irlanda, Svizzera e Italia, iniziano gli scioperi della fame contro le carceri speciali, l’isolamento‑annientamento e per il riconoscimento del loro stato di prigionieri politici - che diventa in pochi mesi movimento di massa, che conduce manifestazioni ed azioni di lotta in tutta la Germania (manifestazioni di piazza a Francoforte il 23‑25 aprile ‘81; occupazioni di chiese da parte di familiari di detenuti della RAF ad Amburgo e di simpatizzanti a Berlino ad aprile‑maggio ‘81; azioni e attentati dinamitardi, a scopo prevalentemente dimostrativo, secondo la tattica dell’«azione decentrata» di piccoli nuclei, in particolare a Francoforte, Kolonia, Berlino, Heidelberg ecc.), che dimostrano la crescita organizzativa di un movimento di massa articolato, che riesce a neutralizzare gli enormi apparati militari repressivi che lo stato mette in capo per soffocare e prevenire la «seconda ondata di terrorismo», col cui spauracchio la stampa più reazionaria (Springer) tenta di criminalizzare il movimento degli occupanti. Tutto ciò produce la «fine del dialogo» e l’aperto attacco armato dello stato, che cerca di distruggere il movimento integrandone i settori più disponibili con promesse di legalizzazione delle occupazioni di case meno politicizzate e la concessione di contributi finanziari per il risanamento edilizio e criminalizzando le fette più radicali e socialmente meno accettabili e integrabili nella logica produttivistica della razionalizzazione, scatenando l’azione armata contro l’autonomia del proletariato sociale e la rete del contropotere delle case occupate, con azioni di sgombero, provocazioni, arresti, scontri di piazza. La «fine del dialogo» è scattata il 12 dicembre 1980, con lo sgombero delle case della Fraenkelufer 46, da dove iniziano i primi scontri tra polizia ed abitanti delle case vicine, coinvolgendo settori sempre più ampi della popolazione, tedesca e turca, e delle case occupate nella Admiralstrasse, si estendono alle strade e piazze di Kottbusser Tor, dove la popolazione reagisce alle violenze della polizia, che si rifiuta di liberare le persone e gli occupanti fermati per rappresaglia, malmenandole e minacciandole. Incominciano i primi espropri e distruzioni di negozi, banche, si formano barricate sulla Oranienplatz tra Adalbert - Nauyn - e Oranienstrasse e gli scontri, con lancio di pietre, molotov ecc., si estendono al centro della città (Kurfürstendamm) e, con azioni decentrate, a molte altre zone della città (piazza Olivaer; l’ambasciata cinese; Bükow, Südestern; la Tu‑Mensa; poi, durante la notte e nei due giorni successivi, sulla Bülowstrasse e la Potsdamer-strasse), mentre la polizia usa carri armati, idranti, gas, mazze, armi da fuoco. Il bilancio complessivo dei tre giorni di scontri è di 200 feriti, alcuni con gravi fratture craniche e ossee, uno ha perso gli occhi, un altro ha avuto le gambe spezzate da un camion blindato della polizia che aveva sfondato una barricata sulla Oranienplatz; numerosi arresti e fermati tra gli occupanti e i dimostranti[12]. Le azioni di repressione poliziesca, le provocazioni e le aggressioni individuali (a donne, militanti, vecchi ecc.) delle zone occupate si prolungano con particolare intensità sino al 26 dicembre.

Immediatamente dopo, le case della Fraenkelufer 46, sgomberate il 12/12, e che avevano dato inizio agli scontri, sono di nuovo rioccupate e contemporaneamente sono occupate a Kreuzberg e in altri quartieri altre 127 case. Da gennaio ad aprile, in particolare, si succedono quasi quotidianamente occupazioni e disoccupazioni con scontri di piazza, di casa, di rione, sino allo scontro più pesante del 24 marzo, quando i reparti antiguerriglia, pesantemente armati della SEK, quasi un migliaio, attaccano le case della Fraenkelufer con carri blindati, armi da fuoco, idranti, cani, fermano le 26 persone, prevalentemente donne e bambini che l’abitano, devastano e semidistruggono gli edifici. Tutto l’apparato repressivo militare‑poliziesco, guidato da agenti della CIA, affiancato dalle squadre fasciste tedesche e turche (i «lupi grigi»), appoggiato dalle campagne di falsificazione e criminalizzazione della stampa di Springer, estendono e intensificano in questi mesi le iniziative di aggressione, provocazione e attentati‑aggressioni individuali agli abitanti, in particolare a donne, anziani, per intimidire e terrorizzare la popolazione, per isolare i radicali del movimento, parallelamente all’azione di divisione politica condotta dal Senato[13]. «Il potere tenta di ricostituire il suo dominio utilizzando il movimento degli alternativi, dividendo il consiglio degli occupanti per riprendersi la maggior parte delle case», facendo del movimento alternativo «un nuovo fattore di socializzazione e strumento di integrazione», rilanciando l’ideologia dell’autogestione comunitaria e socialista del ghetto come riserva di lavoro nero, liberandolo dal terrorismo ecc.[14], che un documento degli occupanti della chiesa di Marheineke attribuisce direttamente all’intervento politico americano contro il movimento della guerriglia internazionale.

Scontri del 12 dicembre 1980 a Kreuzberg. Foto di M. Kipp

In questo contesto della politica mondiale USA contro la guerriglia internazionale, acquista il suo reale significato la dura repressione militare e giudiziaria contro le occupazioni di Monaco e Norimberga del marzo ‘81 e la «fine del dialogo» col movimento berlinese, come è apparso chiaramente nel convegno nazionale dei movimenti tedeschi di occupazione delle case tenuto a Münster il 28‑29 marzo, che ha pubblicizzato quella che è diventata la linea tattica generale dello stato sul movimento, secondo le indicazioni espresse in un seminario organizzato dalla polizia di Monaco sulla lotta alla violenza criminale per l’addestramento dei reparti antiguerriglia, e riportate in un articolo di Maximilian Beierl, capo della polizia di Monaco, e pubblicato su Die Polizei del maggio 1977, che definisce il movimento di occupazione delle case - le cui prime azioni si sono avute a Francoforte nel 1974 - come «movimento di guerriglia» e «lotta clandestina urbana». Che sarebbe provato dalla seguente citazione tratta dal Manuale dell’occupante di case:

«La lotta contro la distruzione dello spazio abitativo, contro il profitto e lo sfruttamento delle fondamentali condizioni di vita, non può essere condotta sul piano della teoria critica, ma solo sul piano di una strategia rivoluzionaria. Gli occupanti di case sono un’avanguardia nella lotta per la casa. Questa lotta non sarà decisa nelle aule della giustizia di classe, ma nelle strade. Non basta occupare una casa, bisogna anche difenderla, quando interviene la polizia, con la lotta solidale di tutti i compagni contro gli speculatori e la polizia che li protegge!»[15].

Le «università» e i «collettivi» sono i «centri di istigazione e di organizzazione» delle lotte che spesso «sono favorite, anche se non promosse, dall’atteggiamento indifferente di alcuni politici!». Pur essendo spesso «azioni spontanee», le occupazioni sono sempre rigorosamente pianificate, con l’individuazione e la fissazione dei tempi, del materiale e dell’organizzazione (particolarmente nella costruzione delle barricate interne ed esterne alle case). La «strategia della difesa» degli occupanti può essere «passiva» quando si limita alle barricate, senza opporre resistenza all’intervento della polizia; «attiva», quando «costringe la polizia allo scontro», sino alla «lotta armata nelle case», mobilitando, per questa, ampie forze e settori dell’opinione pubblica e della popolazione civile, affiancando alle misure difensive delle barricate (sulle strade e dentro le case, a finestre e porte), azioni collaterali esterne (dimostrazioni di piazza, volantinaggi, manifesti murali); per queste azioni, il manuale prescrive approvvigionamenti alimentari, formazioni di scorte, sino alle pillole anticoncezionali.

Prima di passare alla vera e propria «lotta di casa», si ostacola l’intervento della polizia col lancio di oggetti («pietre, bottiglie piene, sacchetti pieni di acqua o di coloranti, molotovcocktails, tubi catodici inservibili, che hanno un grande effetto nel produrre molte schegge, e infissi delle finestre»); si rendono inutilizzabili le scale e le barricate, spalmandovi sopra sapone tenero o glutolo (colorante); anche l’uso di sbarre di ferro e mazze di legno di 5 cm. di diametro e 2‑2,5 m. di lunghezza, può ostacolare l’ingresso della polizia, che può essere impedito anche versando pece bianca, colori ecc., olio di lino o calce sulle scale, o spingendo avanti, contro la polizia, come scudi protettivi, donne e bambini, ed organizzando azioni di collegamento (manifestazioni, volantinaggi), che impegnano ingenti forze di polizia.

Particolare importanza hanno, secondo il manuale e i «tecnici» delle occupazioni di case, i «mezzi tecnici», che spesso, per motivi finanziari, sono trascurati. Importante rilievo, infine, ha l’abbigliamento dell’occupante prescritto dal manuale: vestiario fisso, calzature salde, casco protettivo, fazzoletto sul volto, occhiali protettivi, guanti di pelle, tre o quattro giornali piegati ed un sospensorio, sono la dotazione principale dell’occupante.

Per costruire le barricate ci vogliono travi quadrate, panconi, fili metallici e chiodi, che si procurano comprandoli o rubandoli. Importante è l’indicazione di distruggere questi arnesi dopo l’uso. Anche se sono costruite spesso in modo dilettantesco, le barricate sono un grosso impedimento per la polizia, particolarmente quando il loro uso è accompagnato dal lancio di oggetti, come pietre, bottiglie molotov, che feriscono spesso gravemente le forze di polizia. A dimostrazione di questa radicalizzazione della lotta, si cita questo brano del Manuale: «Non gettare mai una bottiglia soltanto! Colpire lo stesso obiettivo con una serie numerosa di bottiglie incendiarie, da 10 a 15».

Gli occupanti devono organizzare anche mezzi di soccorso per i feriti, in particolare il «primo soccorso», la disinfezione, materiale medico e mezzi di trasporto efficienti, costituendo per questi compiti gruppi di lavoro particolare.

Dopo aver riassunto i criteri direttivi delle occupazioni di case, Beierl riassume i «principi tattici per lo sgombero»che orientano l’azione di controguerriglia. Fondamentale è l’«osservazione», condotta con apparecchi per la ripresa e la visione notturna e con microfoni puntati, con la formazione di piante, schizzi, ecc. allo scopo di conoscere preventivamente: «a) il numero degli occupanti; b) il numero dei vecchi, dei bambini; c) il sesso; d) la nazionalità; e) i capi; f) gli organizzatori; g) le sentinelle; h) armamento e vestiario; i) tipo di barricate; l) i collegamenti con l’esterno; m) le abitudini della notte, per dormire; n) il vettovagliamento; o) le modifiche architettoniche apportate alle case e le possibili vie di fuga (per i tetti o predisponendo lo sfondamento dei muri)».

L’«osservazione» è condotta da funzionari specializzati della polizia criminale e in particolare da commandos speciali, e deve essere proseguita senza interruzioni sino alla conclusione dello sgombero, informandone continuamente il capo del nucleo. Le conoscenze così acquisite costituiscono il fattore più importante per la scelta dei tempi più opportuni dello sgombero.

I «tempi per lo sgombero» dipendono di regola dalle forze presenti; è preferibile comunque la notte. Bisogna calcolare attentamente l’«impiego delle forze», addestrandole ai compiti specifici dell’osservazione, dell’analisi, del controllo del movimento della circolazione, dei blocchi esterni ed interni delle case, alle perquisizioni, ai fermi (4 funzionari per ogni occupante, 1 funzionaria di reparti speciali per ogni donna occupante), alla documentazione (film e foto), all’intervento‑assalto delle case, alle misure di fiancheggiamento dello sgombero (pubblicità ecc.), alla sorveglianza rigorosa; predisponendo ed istruendo truppe e nuclei speciali per tutti questi compiti distinti. Secondo il numero degli occupanti da fronteggiare, bisogna predisporre adeguati mezzi di trasporto per i fermati. La «segretezza dell’azione» è assicurata dall’utilizzo di forze ben addestrate; il «primo attacco» deve essere eseguito da funzionari in borghese, quelli successivi da poliziotti in divisa; funzionari in borghese sono addetti al lancio delle bombe lacrimogene, calcolando esattamente i tempi. Attraverso l’«osservazione», bisogna individuare in modo preciso gli ingressi e le uscite delle case, le finestre, l’ingresso delle cantine, le scale antiincendio, ecc. Strumenti importanti dell’azione sono: «a) apparecchi di luce elettrica installati sulle auto (al fine di accecare gli occupanti); b) gli idranti; c) i carri rimorchiatori; d) gli argani; e) seghe elettriche; f) seghetti a punta; g) strumenti battipali; h) sistemi di leve, ecc.». Le cosiddette «truppe d’invasione» hanno il compito di aprire la strada agli altri nuclei di polizia, cioè alle truppe di sbarramento‑blocco interno delle case a quelle di perquisizione, dei fermi e della documentazione.

«Compiti delle singole truppe»: nucleo di perquisizione: esame della casa, ricerca delle persone e delle cose (criminali, fuoriusciti, gente inerme; armi, esplosivi, «scritti politici di contenuto criminale»), raccolta e trasporto del materiale e delle persone; nucleo dei fermi: (criminali, ecc.); nucleo per la documentazione: (fotografie, film ecc.). Nei nuclei per le perquisizioni, i fermi e la documentazione, vi sono funzionari della polizia criminale e della difesa, unità speciali da integrare con i nuclei speciali per l’osservazione, l’analisi ecc.

L’azione non si conclude con la perquisizione e i fermi, ma con la demolizione delle case occupate, il trasporto del materiale e la mobilitazione di ingenti forze di appoggio per fronteggiare eventuali «azioni di appoggio» esterne al movimento (dimostrazioni, blocchi stradali ecc.). L’«equipaggiamento personale» è costituito da elmo protettivo, scudo protettivo e rivestimento in pelle.

«Prima di procedere allo sgombero bisogna definire l’analisi generale, l’osservazione cospirativa, la determinazione tattica delle operazioni di sgombero con rigorosa segretezza. Durante lo sgombero, bisogna osservare: la protezione ottimale delle forze d’assalto; l’uso di strumenti tecnici moderni e documentazione intensiva e dimostrativa. Dopo lo sgombero: rafforzare i controlli; pubblicazione adeguata dell’azione; rielaborazione di tutto il piano d’assalto e riflessioni critiche»[16].

Questo studio, che documenta la qualità tecnica e politica del livello di militarizzazione delle lotte sociali e di legalizzazione dell’illegalità di massa che lo stato‑crisi ha instaurato nei rapporti sociali, incomincia ad avere nuove e più articolate risposte, a partire dall’«offensiva di primavera» di «un attacco autonomo mai conosciuto», che attraversa l’Europa occidentale, investendo casa e carcere[17]. La riflessione e il dibattito sui nuovi caratteri dello scontro sociale, che forse è opportuno documentare, attingendo al ricco materiale recentemente pubblicato da Radikal:

«A Kreuzberg è guerra. Non l’abbiamo voluta noi – e pure l’abbiamo attesa già da molto tempo.
«Battaglia di strada a Kreuzberg […]. Resta un sentimento di forza, a migliaia erano con me in strada. Pure, di fronte a più di cento feriti gravi e a duecento arrestati, è apparso chiaro che con questo tipo di insurrezione, non abbiamo una prospettiva di lungo periodo. Almeno per ora.
«Venerdì la capacità della sorpresa era ancora dalla parte nostra, lunedì il potere statale ci ha battuti (l’Autore si riferisce agli scontri dei giorni 12‑15 dicembre 1980). Bisogna ora sostituire lo scontro diretto con altre forme di lotta che ci evitino tanti feriti e tanti mandati di cattura, ma che colpiscano più duramente lo stato. La guerra civile non è ancora matura, ma bisogna prepararla. Sul come, non c’è nessun piano di stato maggiore generale (grazie a Bakunin), ma, in generale, un dibattito, anche perciò su questo giornale.
«Il problema, da molti anni e in molti paesi, è lo stesso. Sempre e dovunque gli oppressi furono vinti militarmente (diversamente non avrebbero potuto essere oppressi). Da molto tempo ormai LORO costruiscono anche in questo paese il loro potere e cercano di custodirlo, ma sanno anche che un giorno lo perderanno. Gli oppressi hanno sempre e solo una possibilità di attaccare il colosso dello stato: in piccoli gruppi, colpire e ritirarsi subito di nuovo, io chiamo questo “azione decentrata”, altri lo chiamano “strategia di guerriglia” […]. Attaccare in genere stato e capitale, senza perciò offrire una mira alle mazze e ai fucili. “Decentrato” vuol dire non impantanarsi su un solo terreno, dove l’avversario ci deve essere superiore necessariamente con la sua macchina da guerra; “decentrato” vuol dire, in generale, muoversi su tutti i piani, secondo le possibilità d’insurrezione. Solo così possiamo vincere i rigidi apparati, con la nostra fantasia e la nostra mobilità […].
«Importante quanto l’azione stessa, è la sua organizzazione. Iniziative politiche avventate, pretese d’avanguardia e miti d’eroismo, non solo danneggiano il movimento anziché essergli utile, ma possono portare anche all’isolamento completo ed anche alla sua distruzione. Per questo, non bisogna indebolirsi irrimediabilmente con azioni singole, perciò tutte le azioni devono essere inserite come parti di un comune lavoro di massa, il che vuol dire chiarire i nostri obiettivi e propagandare la collaborazione. Violenza o non‑violenza, militanza o spirito burlesco, non sono alternative contrapposte, ma devono integrarsi l’un l’altro in un tutto […].
«Attaccare su tutti i piani, praticare molteplici forme di insurrezione, vuol dire anche respingere tutti i tentativi di dividerci in “moderati” e “estremisti”, unificando le azioni e sviluppando le alleanze»[18].

«Solo con la nostra mobilità, decisi a tutto, a piccoli gruppi, saldi sulle gambe e con sfrenata fantasia, possiamo contrapporci al Moloch dell’apparato della repressione, ma non a lungo nello scontro diretto. Questo noi lo sappiamo, ne siamo persuasi, lo abbiamo compreso chiaramente. Azioni in tutte le parti della città.
«Ma che cosa hai a che fare tu con questo dannato conflitto, per trovarti in mezzo allo scontro, per sapere chi ci ha scatenati, chi ha scatenato il nostro furore e la nostra disperazione, per sapere che è meglio scioglierci, dividerci e colpire, secondo il buon vecchio principio della guerriglia, accendendo fuochi dovunque? Non puoi sottrarti al conflitto, alla lotta di piazza, alla sensazione di fare qualche piccolo tradimento, di lasciare soli gli altri. Le valutazioni della situazione sono diverse»[19].
«Gli eventi sono ruscelli, ruscelli di sangue, di sudore, di lacrime, di rabbia, di angoscia, di liberazione e di dominazione. Su ciò che sarà domani, non vogliamo cercare alcuna risposta. In questo momento, una risposta può essere una porta aperta, in fondo alla quale c’è un vicolo cieco.
«Se diamo delle risposte, ne dovremo dare molte, innumerevoli, tutte giuste comunque. Una risposta sola, una strategia sola, una prospettiva sola, per quanto si muovano sul piano nella cosiddetta determinazione di scopi politici, sono sempre modelli della sufficientemente screditata ragione. Infatti, nel nome della ragione si uniscono oggi tutte quelle forze, più propriamente dette forze‑di‑ordine, che, per odio, menzogna e volontà fascista di distruzione, cercano di nascondere la loro intrinseca non‑ragione, il disprezzo dell’umanità, la brutalità, l’irrazionalismo, con le vuote formule esorcistiche di una ragione che cerca di mettere ordine nel “caos” e di pacificare la “violenza”. È la stessa borghesia, che con questo concetto di ragione produsse il capitalismo globale, ed è questo stesso concetto di ragione che rivela ora la sua più profonda irrazionalità: l’estensione mondiale del globale “no future”, su tutti i piani, non ha bisogno di essere ulteriormente illustrata su questa rivista. Ed è proprio questa borghesia dominante che, come reazione angosciosa alla controviolenza scatenata, cerca salvezza e rifugio proprio in questo concetto di ragione, nel cui nome si allestiscono quotidianamente non solo le armi atomiche ma anche le centrali nucleari, in una situazione politica mondiale dove ogni giorno di più appare il carattere esplosivo dell’ordine borghese.
«La generazione che oggi scatena tra le gole delle strade di Kreuzberg l’autonomia di movimenti incontrollati, non ha più nessuna illusione di un domani utopico, della solita alternativa socialista all’esistente. Non solo perché i socialismi di ogni genere, così come anche gli “scopi razionali” per i quali dovrebbe valere la pena di lottare, si sono rilevati ideali ingannevoli, ma anche perché le strutture borghesi dell’ordine degli ultimi anni hanno tolto qualsiasi legittimità a nozioni come “democrazia”, “tolleranza”, “libertà di opinione” ecc. E questo, come è confermato dai recenti eventi (delle lotte per la casa), per uno scopo di prevenzione e di anticipazione (del movimento). La lunga catena di questa politica del dominio, dal “Berufverboten” a “Gorleben” (luogo di duri scontri tra occupanti e polizia), ha prodotto un processo politico di socializzazione, che ha avuto come risultato, negli ultimi mesi, un movimento, che ha calcato le scene della storia presente, respingendo qualsiasi forma di identificazione con questo sistema. Un movimento, che si distingue profondamente dal movimento studentesco di 13 anni fa, che ha progressivamente rotto qualsiasi legame morale, scientifico, culturale e politico con la democrazia borghese.
«Che cosa c’è da perdere, quando non c’è domani? Le vecchie categorie non hanno più presa, non servono a capire.
«Come non può non essere ridicola qualsiasi strategia di pacificazione con cui il potere dominante accusi la nostra contro‑violenza come riprovevole e immorale? Mentre la sua violenza ci costrinse per molti anni alla sconfitta, all’umiliazione e autodistruzione, ci tolse l’aria per respirare, ci sospinse sempre più al limite dell’identità. Ciò che oggi emerge nelle articolazioni dell’“azione violenta”, che cosa altro è se non l’appello della nostra vita, il grido della nostra identità, il grido di guerra di movimenti autonomi, che non possono tornare indietro e procedono avanti?»[20].

[1] H. Riese, Wohnen in Berlin, in «Besetzung», Hamburg 1981, pp. 94-107; J. Klein e S. Porn, Instandbesetzen, in op. cit., pp. 108-l25. Altri dati nella rivista settimanale di Kreuzberg «Sudost Express» e in «Mieter Zeitung», particolarmente negli anni 1980-1981 e nella più recente letteratura del movimento, in particolare «Radikal». Il libro collettivo Besetzungpresenta materiale informativo sui movimenti di occupazione della RFT.

[2] H. Riese, op. cit., pp. 104-105.

[3] Cfr. «Sudost Express», aprile 1981, numero speciale su «L’affare del risanamento» a cura del comitato degli affittuari della Cuvrystrasse.

[4] H. Riese, op. cit., p. 106.

[5] Ivi, p.107.

[6] «Radikal», n. 4/81, p. 8.

[7] M. Beierl, Die Pratiken der Hausbesetzer und daraus abzuleitende Einsatzgrundsätze der Polizei, in «Hausbesetzer I N F O», Münster 1981, pp. 11-17.

[8] «Radikal», cit. pp. 15-17, con documenti di solidarietà allo sciopero della fame dei detenuti politici del «Rebhun (u.ä) Anti-Fraktion» (RAF) e degli occupanti della chiesa dl Marheineke.

[9] Cfr. la documentazione raccolta sull’organizzazione e le attività dei fascisti tedeschi e turchi dei «lupi grigi» in Stoppt die “Grauen Wölfe”, Berlin 1981.

[10] K. H. Roth, Autonomia e classe operaia tedesca, Feltrinelli, Milano 1979, pp. 11-31.

[11] Von Ende des Dialogs, in «Radikal», cit., p. 14.

[12] Versuch einer ChronoIogie, in «Radikal», n. 12/80, pp. 1-2; «Radikal», 4/81 pp. 28-30. La cronaca degli scontri si trova anche nella «Berliner Zeitung» di lunedì 15/12/80, ma anche in «Instand‑Besetzer‑Post», Berlin‑Kreuzberg. n. 4, 1 aprile 1981 e in molti materiali di controinformazione (volantini, giornali ecc).

[13] «Instand‑Besetzer‑Post», cit., p. 5.

[14] «Radikal», 4/81, cit., p. 15.

[15] M. Beierl, op. cit., p. 11.

[16] Ivi, pp. 11-17.

[17] Kronstadt, Anarchismus und Pflaumenmus, in «Radikal», cit., p. 6. Una ricca analisi‑documentazione del «movimento di primavera», particolarmente in rapporto al contesto internazionale delle lotte dei detenuti politici, si trova nel fascicolo «Hungerstreik», pubblicato a Francoforte il 3/4/81 e in «Hungerstreik‑INFO», Amburgo, aprile 1981.

[18] Themroch, Die Kunst der Provokation ecc., in «Radikal», 12/80, p. 4.

[19] X. Zwille, Confusione grande (in ital.), in «Radikal», cit., p. 3. La qualità del movimento e del dibattito politico può essere colta dalla pubblicazione, a p. 4 dello stesso numero citato di «Radikal», della poesia «Ode an Molotow», del poeta‑detenuto politico Peter-Paul Zahl.

[20] “Chaos” und “Vernunft”, in «Radikal», cit. p. 2. Sui problemi posti dal nuovo movimento, vanno segnalati gli interventi di Woll-Lust, Hella-Wahsinn e Themrock, che analizzano le contraddizioni e le prospettive tattico-strategiche del nuovo livello delle lotte dì massa, già indicate nei brani riportati, in «Radikal», 4/81, pp.8-10 sgg. Il progetto dell’autonomia proletaria come «anarchismo senza ideologia», è chiaramente delineato anche nelle note critiche al congresso anarchico berlinese del «Comitato‑Kronstadt», in Kronstadt, Anarchismus und Pflaumenmus, cit., l’autonomia, che, recuperando criticamente quella dimensione “creativa” del movimento dell’autonomia, che ha caratterizzato, nel ‘77, una vasta area del movimento in Italia, riconduce la critica marxiana dell’ideologia alla riappropriazione‑emergenza proletaria: «Non c’è nessuna differenza che si trasferisca in modo ‘buono’ verso l’alto (‘Paradiso’) o verso il basso (‘Anarchismo’); nell’uno e nell’altro caso, si rifiuta il Qui, l’Ora e l’Oggi. Questa critica non si rivolge contro i cosiddetti anarchici, ma contro la loro confessione e produzione di confessione o, altrimenti, contro il dover restaurare continuamente l’ideologia della comprensione universale per poter rappresentare in qualche modo ancora se stessi, per voler dare a se stessi una collocazione invece di vivere ‘così semplicemente’ l’insicurezza, l’impianificabilitià, la mancanza di senso e la contradditorietà della vita e del mondo.

«D’altra parte, questa ideologia anarchica non è niente più che la prosecuzione dell’ideologia borghese. L’ideologia in generale, così come la si può anche chiamare (anche il materialismo è una ideologia), è borghese, e riduce il mondo ad un modello del pensiero (per quanto dialettico possa essere questo modello). Basta con l’ideologia!

«Proprio su questo punto, il movimento ha operato rotture importanti negli ultimi mesi: con la rivendicazione dell’autonomia (autodeterminazione), furono spazzate via tutte le secolari lotte di parte (per esempio, nella lotta dei detenuti hanno potuto saldarsi insieme le rivendicazioni del movimento del 2 giugno, della RAF e quelle dei detenuti ‘sociali’)». p. 6.

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